"Uccisi per la legge della montagna"

Un padre e quattro figli massacrati nella loro masseria. Una ferocia scatenata da anni di rancori e torti subiti. Fino alle vendetta più sanguinaria. "In questa terra vive ancora l’idea che per aver giustizia bisogna farsi giustizia"

"Uccisi per la legge della montagna"

«Mi chiede di darle un'interpretazione della strage nella masseria di Filandari? Le rispondo che quanto è accaduto è stato dettato dalla legge della montagna, che è la più antica legge degli uomini»
Staresti ore ad ascoltare l'ingegner Mimmo Gangemi, 60 anni, scrittore di successo, (il suo «Il Giudice meschino», edito da Einaudi, è stato finalista al Bancarella di quest'anno). Staresti ore a prender nota delle illuminanti verità di un osservatore attento e disincantato come lui che, cresciuto tra Santa Cristina d'Aspromonte e Palmi, non ha abbandonato la sua Calabria.
La legge della montagna dunque, ma qui c'erano in ballo terre, pascoli e antichi rancori…
«Tutto vero ma quando parlo di legge della montagna parlo anche della legge della terra, cioè del suo possesso e della sua difesa, che in montagna, però, viene esasperata, perché fa emergere quell'arretratezza e quella violenza che sono più radicate in chi, come i pastori, vive tra i disagi, la solitudine e la durezza della quotidianità che la montagna impone».
Dunque che cosa può aver spinto uno o più uomini di una stessa famiglia a sterminare un'altra famiglia?
«Una violenza radicata, ereditata dalla storia e dall'orografia stessa di quei luoghi. Una violenza, maturata nell'arretratezza e nell'isolamento, che fa nascere e prosperare solo l'idea che per avere giustizia bisogna farsi giustizia. È il trionfo dell'ominità: le faccende di uomini si regolano tra uomini, perché sarebbe disonorevole fare ricorso alla giustizia dei tribunali e perché lo Stato da quei luoghi, così impervi e duri da sopportare, sembra e forse è veramente, ancora troppo lontano»
Quindi i conti da regolare possono anche essere quelle che noi chiamiamo banalità?
«Esattamente. L'argomento del contendere diventa relativo di fronte all'ominità, alla necessità di essere uomini a tutti i costi. A scatenare la violenza ci può essere la banalità dello sconfinamento di una mandria o il taglio di un albero nel terreno altrui, ma la somma di queste, chiamiamole offese, alla fine fa scatenare una violenza spropositata. Lei conosce le nostre fiumare? D'estate sono torrentelli meschini con quattro gocce d'acqua, ma d'inverno, quando la pioggia scende abbondante, si gonfiano, esondano e travolgono tutto ciò che incontrano. Ecco, la reazione violenta, improvvisa e incontrollabile dei pastori di montagna, per i quali è come se il tempo scorresse più lento che altrove, somiglia alla terribile trasformazione delle fiumare di queste nostre terre».
Qualcuno ha paragonato questa strage a quella compiuta dalla n'drangheta a Duisburg
«Non sono d'accordo. Questo non è un fatto n'ndrangheta anche se adesso può diventarlo, può trasformarsi e può far diventare il suo o i suoi autori n'dranghetisti...»
Che intende dire, ingegner Gangemi?
«Intendo dire che la famiglia che si è fatta giustizia, che ha risposto con una violenza così terribile alle offese subite, si guadagna immediatamente rispetto e onore. E quindi gli appartenenti a quella famiglia, che hanno mostrato, pubblicamente, una dimensione di forza non trascurabile, possono diventare automaticamente n'dranghetisti. Con la paura che hanno seminato, infatti, si sono fatti un nome. Così chi ha partecipato alla faida approfitterà quanto prima del suo nuovo status sociale per ricavare guadagni e favori e pretenderà il proprio spazio, la propria rendita di posizione che gli è derivata automaticamente, sempre per legge atavica, dalla violenza con cui ha saputo chiudere i conti con gli avversari».
Questi killer di famiglia hanno agito per calcolo pensando ad una futura fama?
«La violenza con cui hanno deciso di farsi giustizia è stata la reazione irrefrenabile a una serie di piccole o grandi banalità, non un gesto calcolato per far crescere la notorietà della propria famiglia. Ma è vero anche che, quanto è accaduto dopo, quando uno dei familiari si è consegnato e si è accollato l'intera colpa della strage, è già un modo comportamentale tipico della n'drangheta. Che spesso, dopo aver compiuto delitti simili, decide di sacrificare un componente della famiglia, di solito il più giovane o il più anziano, facendo ricadere su di lui tutta la colpa».
Si uscirà mai, secondo lei, da questo terribile loop?
«Io sono ottimista.

Saranno le nuove generazioni a spezzare queste catene, ma è innegabile che nelle nostre terre, proprio in questi mesi, abbiamo accolto con gioia lo spiraglio di un cambiamento, di un risveglio di legalità. E questo risveglio arriverà, prima o poi, a cancellare, per sempre, anche la legge della montagna».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica