Piera Anna Franini
Cè la Francia di Camille Saint-Saens (Introduction et Rondo Capriccioso op. 28), lItalia dei Boccherini (Sinfonia in re minore op. 12 n. 4) e Viotti (Concerto in la minore n.22). E naturalmente un omaggio al plurifesteggiato del 2006, Wolfang Amadeus Mozart (Concerto KV 218). A proporre il programma è Uto Ughi, violinista che non richiede certo presentazioni, oggi (ore 21) a Milano per una serata in compagnia dei Filarmonici di Roma, complesso con cui Ughi collabora da anni secondo un rapporto segnato da affinità e solidarietà di gruppo, osserva.
Ughi ritorna a Milano e, come spesso, ospite della Società dei Concerti.
A un certo punto della carriera si finisce per affezionarsi a unistituzione?
«Può nascere un rapporto di amicizia con i dirigenti. Conosco il suo presidente, Antonio Mormone, ormai da anni: è un appassionato della musica e dei musicisti, scopritore di talenti, ha aiutato molto i giovani. LItalia musicale deve essergli grata perché non sè mai limitato a proporre nomi indici di assoluta garanzia, quelli che fanno audience sicura».
Come reputa lambiente musicale milanese?
«Le mie conoscenze si restringono alla Società dei Concerti e alle Serate Musicali. Due istituzioni molto vivaci e aperte, quello milanese mi sembra un pubblico di grandi appassionati che mi segue da ventanni: ormai stiamo invecchiando insieme».
Questa vita spesa nella musica cosa le ha insegnato?
«La musica è una formidabile scuola di disciplina. Non mi sono mai misurato con la noia. In questo mestiere vi possono essere delusioni, magari per la disattenzione accordata dalle scuole e dal governo nei confronti della musica, ma ancora ora avverto lo stesso coinvolgimento di un neofita».
Quindi non ha mai vissuto momenti di crisi profonda, momenti in cui avrebbe piantato tutto in asso?
«No. E non credo che non sia possibile per un artista. Si può avvertire una stanchezza nervosa, ma la fede nella propria missione rimane imperturbabile, altrimenti sarebbe tragico».
Parliamo dei giovani musicisti: si lamenta la carenza di grandi personalità. È daccordo?
«È uno degli effetti della globalizzazione, della vita frenetica e dinamica, non si ha il tempo per addentrarsi nella cultura. La televisione, poi, ha fatto gravi danni in questo senso. Manca il fascino del mistero, con internet si può sapere tutto senza più ritegno per la privacy della persona. Oggi vengono meno le grandi e originali personalità, prima ogni Paese produceva una sua storia, una sua tradizione, oggi viviamo nel solo presente. Ma chi vive il presente dimentica le radici e ha difficoltà a proiettarsi nel futuro. Questo si avverte anche con questo viaggiare continuo ma sprovvisto di una preparazione psicologica, si viaggia in modo estremamente superficiale. Il viaggio dovrebbe rappresentare una trasfusione di idee nuove, unoccasione di arricchimento».
Prima accennava alla tv. Sappiamo quanto si è battuto per una sana programmazione musicale.
«Ho suggerito idee di trasmissioni molto snelle, possibilmente non relegate alle solite tre del mattino. I dirigenti Rai mi dicono sempre sì, il punto è che poi non accade niente. In questo contesto bisogna lavorare con fede, ottimismo e perseveranza».
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