MilanoL’oro di Napoli puzza. Intasa le strade, intossica l’aria, distrugge l’immagine della città. È l’immondizia che si accumula a tonnellate, che costa cara (ai cittadini) ma rende fior di milioni (a chi la gestisce). Eccolo, l’ultimo business. La riscossione delle tasse sui rifiuti. Un affare a metà fra pubblico e privato, in cui a rimetterci è il primo e a guadagnare è il secondo. Soprattutto quando l’affare è sporco. Come sarebbe quello scoperto dalla Procura e dalla guardia di finanza di Milano. Cinque le persone arrestate ieri dai militari della Gdf con le accuse di bancarotta fraudolenta e peculato, e dieci gli indagati. Fra questi ultimi, anche Ida Alessio Vernì, già direttore centrale Sviluppo commerciale e turistico del Comune di Napoli, e compagna dell’ex senatore di Rifondazione ed ex assessore comunale del capoluogo campano, Raffaele Tecce.
Ecco che accade, all’ombra del Vesuvio. C’è una società con sede a Milano e che lavora anche per altri Comuni e che si occupa di riscuotere per conto dell’Ente una serie di tasse locali: tarsu, tosap, ici, iciap, oneri per condoni, canoni del servizio idrico integrato, e che nel giro di dieci anni incassa qualcosa come 50 milioni di euro. Si chiama Aip srl (Azienda Italiana Pubblicità), fallisce nel novembre del 2009. A partire dal 1997 e fino al 2001, l’Aip gestisce il servizio di riscossione delle imposte comunali, con un meccanismo di ricompensa ad aggio percentuale sugli incassi. Al Comune, dunque, va la differenza tra gli incassi e l’aggio. Il contratto viene chiuso un mese in anticipo, perché Aip lamenta «l’assoluta incertezza delle entrate, oltre che delle spese». Ma Palazzo San Giacomo è generoso, e riconosce alla Srl un indennizzo di 2,9 milioni di euro. Non è finita. Il Comune di Napoli, infatti, decide di costituire una società mista pubblico-privato per la gestione del servizio e - guarda caso - individua la stessa Aip come partner. Nasce così la Elpis, partecipata al 51% dall’amministrazione e al 49% da Api, il cui oggetto sociale è «la gestione di attività nel settore delle pubbliche affissioni e della pubblicità, accertamento e riscossione delle relative entrate e attività connesse e complementari».
La nuova società inizia a operare dalla fine del 2004, ma sarà ancora l’Aip a riscuotere i tributi su un conto corrente aperto in passato e mai chiuso, e anche in assenza di contratto. E lo farà fino al 2009, nonostante sia la Elpis a gestire la riscossione dei tributi per il comune di Napoli. Un’ultima beffa. Perché tra Aip e Comune si apre un contenzioso sulla definizione dei rapporti di debito/credito per l’attività di riscossione tributi svolta tra il 2001 e il 2004, e che si conclude con il riconoscimento da parte della società di un debito nei confronti del Comune di quasi 4,5 milioni. Ma la Aip ne restituirà solo uno.
Insomma - come spiega il gip Micaela Curami nelle 85 pagine di ordinanza di custodia cautelare - si tratta di «una pesante ombra» sul Comune di Napoli». Soprattutto, per quei quattro anni (dal 2005 al 2009) durante i quali l’ Aip «ha continuato a ricevere i contributi erroneamente versati dai contribuenti», nonostante «non si occupasse più della riscossione dei tributi» per conto del Comune di Napoli. E che fine fanno i soldi?
Secondo i pm Luigi Orsi e Sergio Spadaro il denaro finiva nelle tasche degli arrestati. La Aip, scrive ancora il gip, «anziché riversare l’indebitamente percepito via via che si accumulavano gli importi provvedeva a trasferirli su altri conti correnti, confondendoli nel suo patrimonio finanziario». In totale, tra il 2001 e il 2009, Aip «ha utilizzato le somme versate sul conto», che erano poi «i tributi versati dai contribuenti napoletani», come «si trattasse di denaro proprio», per un peculato da 50 milioni di euro. Così, amministratori e consiglieri della società vengono arrestati.
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