Unicredit chiude la partita-tagli Fuori in tremila entro due anni

Dopo la maratona del weekend, che molti interpretano come un’accelerazione dettata dal contesto, è stato firmato all’alba di ieri l’accordo sui tagli nel gruppo Unicredit. Dei 4.700 dipendenti in uscita, 3mila già in possesso dei requisiti per la pensione usciranno entro il 2013, 1.100 nel biennio 2014-2015, previa nuova negoziazione, mentre i 600 ex Capitalia sono in attesa di ulteriori verifiche riguardanti il fondo di solidarietà per il credito al quale verrebbero affidati. L’intesa («esempio di attenzione ai lavoratori prima che alle contrapposizioni ideologiche», è la sintesi del segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni) è stata ampiamente e positivamente commentata dai sindacati, che qui - a differenza del più generale scacchiere dell’economia nazionale - sono apparsi uniti e affiatati, Fisac Cgil compresa. Le organizzazioni sono apparse molto soddisfatte; da parte sua, Unicredit, che non ha emesso alcuna nota ufficiale, si è limitato a ricordare che nel gruppo le relazioni sindacali sono sempre state buone (una nota riassuntiva è attesa per oggi). La chiusura, almeno per il momento, del capitolo esuberi appare fortemente legata a esigenze tempistiche; anche in questo senso va letta la stretta degli ultimi giorni.
Risolvere i problemi relativi al personale - tema avviato da tempo dalla precedente gestione - era considerato preliminare al varo del complessivo riassetto operativo, con la fusione nel cosiddetto Bancone delle attività retail, corporate e private. Il varo ufficiale, con i sigilli del notaio, dovrebbe avvenire oggi stesso. Poi, tra giovedì e venerdì, sarà convocato un consiglio d’amministrazione straordinario con un unico punto all’ordine del giorno: il completamento della ridefinzione del vertice. Ci sono già indicazioni considerate molto verosimili, e già si rincorrono, sottotraccia, vari commenti. Il dubbio iniziale - un direttore generale o due - pare sia stato risolto puntando invece al numero perfetto: tre. Ovvero, due direttori generali e un direttore operativo. Gli incarichi non dovrebbero riservare sorprese, perché dovrebbero essere gli stessi tre vice amministratori delegati - Sergio Ermotti, Roberto Nicastro e Paolo Fiorentino - che affiancavano Alessandro Profumo insieme allo stesso Federico Ghizzoni, oggi amministratore delegato; Ermotti e Nicastro dg, Fiorentino chief operating officier. Una scelta per dare al vertice la massima continuità, ma non priva di incognite, legate a fattori personalissimi e quindi difficili da ponderare: nel quarumvirato dei vice, ciascuno aveva un proprio pari ruolo; ma nel nuovo assetto «sale» di grado uno solo, quello approdato al soglio per ultimo e in tempi recenti; gli altri tre staranno uno scalino sotto. Nelle delicate alchimie del potere e delle sue gelosie, questa situazione potrebbe non essere immune da qualche fastidio.


Altro elemento che viene da molti osservato è il crescente ruolo del presidente austro-tedesco Dieter Rampl: che Ghizzoni fosse l’uomo dell’Est (ieri ha incontrato Puntin a Mosca) fa pensare a una forte sintonia tra i due, quasi un asse, che potrebbe portare a nuovi equilibri transnazionali impensabili ai tempi di Alessandro Profumo.

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