nostro inviato a Cannes
In rappresentanza delle 44 vittime del Volo 93, l'unico dei quattro aerei che l'11 settembre del 2001 non centrò il bersaglio, grazie alla lotta ingaggiata dai passeggeri contro i dirottatori, tre dei parenti siedono a fianco del regista Paul Greengrass e di alcuni degli attori di United 93. È una presenza per certi versi dovuta: senza di loro, senza i loro ricordi, il film non avrebbe avuto nemmeno quel minimo di verosimiglianza psicologica che nasce dalla realtà una volta che la fantasia è stata bandita. Allo stesso tempo però è una presenza ambigua: proprio perché nessuno è in grado di dire che cosa quel giorno nell'aereo accadde, e come quegli uomini e quelle donne si comportarono, qualsiasi ricostruzione deve stare ben attenta a non infangarne in alcun modo la memoria. Il campo d'azione, insomma, è limitato.
Girato come se fosse un documentario, ma con l'ambizione di fare un'altra cosa, quello che al film manca è ciò che di solito in un film si cerca: i caratteri, le psicologie, l'intreccio. Il paragone con i venti minuti di World Trade Center di Oliver Stone, presentati qualche giorno prima al Festival, viene naturale e non gioca a favore.
Intorno ai quaranta minuti in cui si consumò la tragedia Greengrass allestisce un film di quasi due ore, e siccome è un regista di talento (Bloody Sunday è sotto questo profilo esemplare), tutta la parte relativa a che cosa in quel giorno accadde nei cieli e nelle torri di controllo, lo stupore, la paura, la commozione e la rabbia, l'impreparazione e la capacità di far fronte, dopo un momento di smarrimento, alla sorpresa, è resa in modo serrato e convincente. Eppure, basta che nella ricostruzione piombi d'improvviso la realtà, ovvero l'immagine delle Twin Towers che in rapida successione vengono colpite, perché la fiction dichiari la sua impotenza.
«Io ho cercato di fare un film onesto» dice Greengrass, «e non mi sembra che l'elemento di finzione in esso presente ne alteri la verità. Anche sulla crocefissione di Nostro Signore si fanno opere di fantasia storica, ma non per questo non emozionano lo spettatore». A chi lo accusa di voler speculare su una tragedia, il regista risponde seccamente: «Da cinque anni a questa parte l'11 settembre è stato oggetto di saggi, romanzi, lavori teatrali... Il cinema arriva per ultimo e credo inutile e pretestuoso sollevare per questo una polemica».
Nel cast del film, agli attori professionisti chiamati ad interpretare il ruolo dei passeggeri e dell'equipaggio del Boeing 757 si affiancano i personaggi reali che, come nel caso dei controllori aerei civili e militari, ebbero quel giorno un ruolo importante. Particolarmente delicata è risultata la scelta dei quattro terroristi nella finzione cinematografica. «Quando mi è stato proposto questo ruolo» dice Khalid Abdalla, che in United 93 è il pilota suicida, «ho molto riflettuto prima di accettare. Non c'è da parte mia nessuna indulgenza nei confronti del terrorismo, ma mi sono posto il problema di come le figure dei dirottatori dovessero essere presentate. Non ritenevo giusto farne dei puri e semplici agenti del Male, ma trovavo più logico vederli come uomini in carne e ossa, con le loro debolezze e le loro esitazioni. È stato questo che mi ha spinto ad accettare».
L'ultima parola va a Jack Grandcolas, uno dei familiari: «È un film convincente, privo di sensazionalismi e fatto rispettando chi non c'è più. È un ritratto fedele di un giorno orribile che ha cambiato non solo la mia vita».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.