Cultura e Spettacoli

Utopia abita ovunque e in nessun posto

Dall’isola sognata da Thomas More agli slogan anni ’70

L’utopia è un genere letterario nato nella prima età moderna, quando Thomas More, nel 1516, diede alle stampe il De optimo reipublicae statu sive de nova insula Utopia. Il neologismo latino utòpia è incardinato su di un suffisso privativo che rinvia a due possibili radici: ou-topos, luogo che non c’è, secondo le intenzioni che i più hanno attribuito a More, oppure eu-topos, luogo felice, come il vocabolo venne interpretato dai primi lettori. Già nell’etimologia, quindi, si ravvede la caratteristica di fondo della letteratura utopica, che tratta di un modello di comunità politica perfetta ma inesistente. Ma il fatto che tale articolazione politica non sia presente nella realtà non significa, per lo scrittore utopico, che sia impossibile o irrealizzabile. Diversamente, apre scenari che proiettano il lettore nella dimensione di un passato mitico, oppure di un futuro radioso, conduce in un luogo geografico o metaforico in cui si ha la concretizzazione di un ideale politico.
In altre parole l’utopia rientra in un genere di testo che comporta la «formulazione di modelli politici valutativi, ma utilizza lo strumento dei modelli descrittivi. (...) Nel contesto del discorso che la caratterizza nell’età moderna, l’utopia è dunque un racconto, diretto o indiretto, di una realtà veduta». Così scrive Vittor Ivo Comparato, docente di storia moderna all’Università di Perugia e direttore della rivista Il pensiero politico, in Utopia (Il Mulino, pagg. 258, euro 12,50).
Il genere utopico ha una storia di almeno cinque secoli. In un periodo così lungo si sono sedimentati diversi modi di intendere questo tipo di letteratura, modalità che si possono identificare in tre tendenze: la prima è riconducibile all’originario archetipo moriano citato sopra, la seconda vede nell’utopia una visione globale della vita sociale critica nei confronti di quella esistente; la terza, che si deve a Mannheim, offre una prospettiva ancor più larga, considerando l’utopia tutto ciò che tende a cambiare o rovesciare un ordine sociale. Di contro si sono consolidati tre giudizi negativi sull’utopia. La prima accusa è quella di irrealismo; la seconda è di essere nostalgicamente rivolta a un passato mitico; la terza considera l’utopia come la dimostrazione che ogni progettazione razionale della società configuri forme autoritarie di gestione del potere.
«Siate realisti, chiedete l’impossibile»; «La fantasia al potere»: che cosa è rimasto della sensibilità dell’ultima stagione utopica che oggi sembra lontana anni luce? Resiste ancora, più forte che mai, l’aspirazione a un mondo senza guerre e senza conflitti ed è universalmente sentito il desiderio di pace e fratellanza. Tale idealità si è rafforzata dopo la fine del bipolarismo, e il ritorno della guerra convenzionale, e a seguito dell’11 settembre e del suo carico di odio e di violenza.

«Imagine all the people/ Living life in peace» resta la solita, grande utopia della modernità.

Commenti