Quando lo vidi dieci anni fa a Palermo alla prima dell’Invenzione dell’amore, la sua commedia ispirata alla Divina Commedia, Mr. Tom Stoppard alias Tomàs Straussler era un rigido sessantenne di bell’aspetto impeccabilmente rasato con una corona di ricci scomposti. Mentre ora, con la sua dolce voce cantilenante, dà l’impressione di ascoltare un cattedratico annoiato che ripete uno per uno i dogmi di cui è costituito il suo pensiero. Superfluo aggiungere quindi che prima di tutto gli chieda a chi dei due mi sto rivolgendo: al geniale commediografo o al filosofo plurilaureato? «Non c’è nessuna differenza tra l’una e l’altra faccia del mio io - risponde con garbo il britannico signore del West End - dato che in me l’artista si nutre del tutor e viceversa. Sa spiegarmi come avrei fatto, in caso contrario, a scrivere Rosencrantz e Guildenstern sono morti?»
D’accordo, ma ammetterà che c’è una bella differenza tra entrare dentro Amleto con un punteruolo acuminato mettendo al suo posto, dopo averlo declassato a comprimario, i suoi due docili cortigiani e...
«E scrivere La sponda dell’Utopia, il trattato di quattrocento pagine che da voi sta per essere varato a Torino? Per me l’uno è conseguenza dell’altro».
Vuol spiegarmelo per favore?
«L’opera di un drammaturgo è un terreno minato fin dal primo copione. Sia che crei personaggi immaginari, creature di una fiction letteraria o addirittura uomini che in passato hanno fatto la storia, il suo lavoro consiste nell’assidua manipolazione dei dati in suo possesso».
Ma La sponda dell’Utopia?
«Questo dramma che non è una tragedia, bensì l’atroce commedia di un’umanità che gioca con le parole perché non sa analizzare l’andamento dei fatti, l’ho scritto dieci anni fa».
Oggi vi apporterebbe modifiche sostanziali?
«No, non è questo il punto. Mi chiedo tuttavia come accoglierete adesso, in un momento così critico per l’Europa, un allestimento monstre in tre serate, come vuole l’originale, con trentatre attori che in scena sono Herzen, Bakunin, Marx e persino Ivan Turgenev che piangono sul mancato rovesciamento delle istituzioni mentre passano la vita facendo la rivoluzione in salotto».
La risposta a un quesito simile può darla soltanto lei.
«Ma un autore può solo indicare i limiti della condizione umana: è un artista, non un profeta. Tanto più quando, come in questo caso, i profeti non fanno che sbagliare procedendo per tentativi in una continua contraddizione che li rende grotteschi ai loro stessi occhi».
Mi fornisce qualche esempio?
«Tranne Bakunin, il quale ogni volta sogna il bagno di sangue definitivo che libererà le masse dalla costrizione, tutti gli altri a cominciare da Herzen celebrano nel 1848, con la caduta di Luigi Filippo, l’avvento della società avvenire senza curarsi di rivedere».
Perché dopo i primi due tempi, rispettivamente intitolati al «Viaggio» e al «Naufragio», il terzo e ultimo tassello della sua trilogia si chiama «Salvataggio»? Non è una contraddizione in termini data la vanità delle loro ideologie?
«Purtroppo è la vita a essere contraddittoria, non solo quella che hanno vissuto i cosiddetti estremisti che, nel mio testo, si spostano per l’Europa ed emergono, come Bakunin, sani e salvi da ogni detenzione. Per loro, che si rifugiano dietro formule precostituite tra un assaggio di vin rouge e una bottiglia di vodka, esiste solo il teatro morto delle apparenze che, non a caso, io porto sulla scena».
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