Valsusa, quei sindaci anti Tav pronti a trattare col «nemico»

Oggi sono attesi in cinquantamila per la protesta: sfilano anche i no global campani

nostro inviato a Bussoleno (To)
C’è chi avrebbe chiesto un centro sportivo e chi la ristrutturazione della chiesa parrocchiale. Chi l’asfaltatura di mezzo paese e chi la riorganizzazione della viabilità comunale. Storie di ordinaria contraddizione in un angolo d’Italia che oggi innalzerà un compatto muro di protesta contro un’opera che non s’ha da fare: la Torino-Lione ad alta velocità. Storie di sindaci e sindachesse, costretti, a furor di popolo, a stare dalla parte del popolo, a marciare a fianco del loro popolo, come faranno oggi da Bussoleno a Susa. Ma impegnati parimenti, a furor di bilancio municipale, a contrattare sottobanco il prezzo di una servitù obiettivamente pesante da incassare come un supertratto ferroviario di 72 chilometri articolato per il suo 90 per cento da un ardimentoso, quanto «allarmante» tunnel dentro una montagna che potrebbe essere zeppa di amianto e uranio.
Partiamo da una certezza. Il consorzio italo-francese, Ltf, istituito giusto per costruire la nuova linea, già nella primavera del 2002, dopo la fase di concertazione, ossia di presentazione del progetto ai Comuni interessati, di cui si era fatta carico la Regione Piemonte, si era sentito in dovere di pensare a una sorta di risarcimento per alleviare i disagi che i Comuni interessati avrebbero dovuto sopportare da qui al 2018-2020, quando l’opera, presumibilmente, verrà inaugurata. Il risultato di questa sensibilità sono 200 milioni di euro, messi a disposizione dal consorzio Ltf. Perché sindaci e sindachesse della zona interessata dalla ferrovia ad alta velocità, li usino non per i loro privati sfizi, questo nessuno, intendiamoci, lo mette in dubbio, ma per soddisfare le pubbliche esigenze dei loro piccoli Comuni, dove sono costretti a fare triple capriole quotidiane per mettere insieme il pranzo con la cena. O meglio per scegliere se finanziare una strada o un lampione da accendere. Fin qui nulla di male. Anche perché questa procedura di risarcimento ha un nome ben preciso: compensazione, ed è, da sempre, un’opzione.
E praticata alla luce del sole. «Il governo stesso si muove spesso in questa direzione, come è accaduto - ricorda il sottosegretario al Welfare, Roberto Rosso - per i bacini idrici montani o ancora per le aree di attenzione come Trino Vercellese, e personalmente credo sia opportuno che venga valutata questa possibilità anche per la Val di Susa. Ma ora che le trattative tra i sindaci e Ltf sono in pieno svolgimento, non è giusto alzare la posta e aizzare la folla. Come non è giusto - precisa Rosso - che ogni singolo municipio chieda per sé, senza fare fronte comune. Quando si toccano le corde dell’ambiente, della tutela del territorio, dell’ecologia non è corretto trattare parallelamente e in segreto per aumentare le compensazioni. Lo si faccia apertamente e senza ipocrisia, senza presentare ai cittadini fantasmi che non ci sono».
A questo punto cosa lasciano intendere le parole del viceministro del Lavoro? Che siamo di fronte a un’imbarazzante atteggiamento di gianobifrontismo dove se non tutti, una buona parte degli otto Comuni, maggiormente penalizzati dalla Tav (a rigore i Comuni coinvolti sono sedici) da un lato trattano sottobanco per spuntare qualche concessione in più dal consorzio Ltf, e dall’altra a muso duro guidano le marce di protesta. Come faranno oggi, giorno in cui la valle di Susa si ferma per dire «no» alla Tav Torino-Lione con uno sciopero che coinvolgerà l'intero territorio. Alla marcia che da Bussoleno porterà i «no Tav» a Susa, otto chilometri, sono attese cinquantamila persone residenti o in arrivo dal Piemonte e da altre regioni anche con alcuni treni speciali. La comunità montana, i comitati contro la Torino-Lione, gli enti locali e gran parte dei valsusini, promettono una protesta «importante, partecipata, forte ma pacifica» nonostante ci siano stati gli incidenti di Mompantero del 31 ottobre, con un centinaio di denunciati, i blocchi alla linea ferroviaria, i volantini stile «Br» firmati Valsusa rossa, il pacco bomba trovato a Giaglione, i proiettili inviati a Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte.
Marcia pacifica. Eppure qualche preoccupazione le forze dell’ordine ce l’hanno. Sarà il tam tam dei siti, delle radio dei gruppi antagonisti torinesi che parlano di «lotta della valle» e fanno paragoni «tra la Resistenza e l’opposizione alla Torino-Lione».

Saranno i quattro pullman provenienti da Padova carichi di Casarini boys e i proclami di Francesco Caruso, leader dei disobbedienti campani. Che annuncia candido: «Saremo in Val di Susa per imparare da questa esemplare esperienza di lotta popolare».

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