La vendita dei 4 palazzi fantasma valeva mezza stangata dell’Irpef

I quattro palazzi fantasma del Comune, i quattro stabili che non si riescono a vendere per paura di una sentenza del Tar, basterebbero da soli a ripianare una fetta non piccola del buco di bilancio con cui Giuliano Pisapia sta facendo i conti varando misure impopolari come l’aumento del biglietto del tram. «Io credo - spiega Alberto Segneghi, l'architetto che segue per Bn Paribas il piano di privatizzazione degli stabili - che se potessimo vendere gli stabili il Comune incasserebbe una cifra tra i 20 e i 30 milioni di euro». Soldi che a Palazzo Marino farebbero sicuramente comodo, a fronte di un passivo delle casse comunali che la nuova giunta quantifica in 185 milioni. Ma la boccata d’ossigeno chissà quando arriverà. Anzi, se la sentenza del Tar dovesse dare torto al Comune sui conti comunali si abbatterebbe una ulteriore mazzata.
Tre dei quattro stabili - come riferito dal Giornale nell’edizione di ieri - sono ristrutturati e pronti da abitare: sono quelli di via Cesariano 11, via Cicco Simonetta 15 e corso XXII Marzo 30. Un quarto stabile, in corso XXII Marzo 22, è ancora allo stato di rustico. Tutti e quattro sono stati inseriti dalla giunta Moratti nel piano di vendite - per fare cassa - del patrimonio edilizio pubblico, ed inseriti nel fondo Milano Uno gestito da Bnp Paribas. Ma sulla decisione del Comune si è innescato il braccio di ferro con il Sicet, il sindacato inquilini della Cisl, che ha fatto partire una serie di ricorsi. E l’incertezza sull’esito delle cause ha fatto sì che finora tutti i potenziali acquirenti si siano dileguati.
Quanto valgono i quattro stabili? «Complessivamente - dice Segneghi - è ragionevole ipotizzare che possano essere ceduti per una cifra superiore ai sessanta milioni». Soldi che non andrebbero tutti in tasca a Palazzo Marino: il meccanismo dei fondi prevede che il Comune intaschi subito, all’atto del conferimento degli stabili, una parte del valore, e per il resto riceva quote del fondo. Quando il patrimonio viene effettivamente collocato sul mercato, il controvalore viene suddiviso tra le banche che hanno finanziato l’operazione e il Comune. Nel caso specifico dei quattro stabili, il Comune ha già incassato il 60 per cento del totale». Il resto, matita alla mano, costituirebbe quei 20-30 milioni di euro che andrebbero ad alleggerire la posizione finaziaria delle casse municipali.
Peccato che tutto sia bloccata dalla spada del Tar che pende sull’intero affare. Il Sicet sostiene che la vendita a privati dei quattro stabili è illecita, perché sono stati ristrutturati con fondi destinati unicamente all’edilizia popolare pubblica. Una linea affine, contro la presunta «svendita» del patrimonio edilizio pubblico, è stata sostenuta in campagna elettorale da buona parte dello schieramento pro-Pisapia. Dopo le elezioni, il sindaco non ha ancora fatto conoscere le sue intenzioni. Il problema è che se il Comune dovesse ripensarci, per tornare in possesso dei quattro stabili dovrebbe restituire i soldi già incassati.

E la stessa cosa dovrebbe fare se il Tar della Lombardia - tutto è possibile - desse ragione al Sicet e azzerasse il «fondo Milano Uno». Una prospettiva cui che la nuova giunta di Palazzo Marino guarda ora con comprensibili inquietudine.

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