Onorevole Denis Verdini, coordinatore del Pdl, Berlusconi ha lanciato l’assalto alle roccaforti rosse.
«L’altro giorno a Firenze e Prato il presidente ha avuto uno straordinario successo di popolo».
Confortato dai vostri sondaggi?
«Nelle regioni rosse partiamo da un forte svantaggio, ma il malcontento della gente è profondo e l’entusiasmo che ci accompagna è confermato dalle nostre rilevazioni».
Per esempio?
«A Prato siamo in parità con la sinistra, e Prato è la seconda città della Toscana. Anche a Grosseto e in tanti altri comuni siamo sul filo di lana».
Però a Bologna il centrodestra ha dato un brutto spettacolo.
«Talvolta siamo maldestri nelle zone dove la storica compattezza della sinistra si sta sgretolando: loro pagano i conti con la storia mentre noi, senza trovare una coesione, rendiamo più difficile la vittoria. Tutto qua».
Ma lo scontro tra Guazzaloca e Cazzola è clamoroso.
«Guardi, noi ci aspettiamo un buon turno amministrativo ovunque che sarà trascinato dal grosso risultato delle europee, dove lo sbarramento al 4 per cento finalmente introdotto dovrebbe consolidare il voto dei partiti più grandi, più strutturati, meno particolaristici. Il Pdl punta a superare i 33-34 seggi, ed essendo 72 quelli da attribuire siamo a quasi la metà».
Com’è andata questa prima esperienza ufficiale con gli ex di Alleanza nazionale nello stesso partito?
«Bene, bene...».
Eppure in varie città c’è stata tensione, il ministro La Russa è stato accusato di tirare solo i suoi...
«Già da tempo il nostro elettorato dava segnali di unità e la creazione del Pdl è stata presa benissimo, lo dimostrano i risultati del 13 aprile seguiti dal ballottaggio di Roma, dalle province siciliane, l’Abruzzo e la Sardegna».
Quindi zero problemi, secondo lei?
«Talvolta le classi dirigenti sul territorio, che dovrebbero interpretare questa spinta unitaria dell’elettorato, per questioni locali non trovano una coesione e provocano attriti. Ma è poca roba rispetto al lavoro svolto in grande armonia a livello nazionale. In più alle europee non si parla più di partito ma di persone, perché ci sono le preferenze».
Di cui gli elettori chiedono a gran voce il ripristino anche sulle altre schede.
«Ma la preferenza altera gli equilibri politici. C’è chi inneggia alla preferenza come lo strumento con cui l’elettorato sceglie, in realtà si trasforma in guerra fratricida dentro i partiti perché ognuno pensa a se stesso».
La Lega lascia intendere che potrebbe non votare ai ballottaggi per evitare di alzare il quorum del referendum. Che ne pensa?
«Credo sia più un ragionamento fatto a livello locale che di dirigenza nazionale, strategie localistiche e inattuabili. Nel governo il rapporto è solidissimo».
Tuttavia il referendum è uno spauracchio per il Carroccio.
«Il referendum aveva una grandissima valenza prima del 13 aprile 2008, dopo quei risultati si è indebolito».
Quindi lei non teme diserzioni padane ai ballottaggi del Nord.
«No. Penso sia un modo di chiacchierare dei dirigenti locali che non rientra nella strategia nazionale della Lega».
Bossi ha fatto capire che all’eventuale secondo turno farà pesare l’appoggio a Podestà per la provincia di Milano.
«Con la Lega abbiamo discusso al momento di attribuire le candidature qualche mese fa. Risolto quello, la marcia è comune. Le discussioni sono normali in una coalizione».
Lo stato maggiore leghista è convinto di superare il Pdl in Veneto e Lombardia.
«Onestamente non ci credo. Il 13 aprile 2008 la Lega ha ottenuto un grandissimo risultato, sarà già tanto se lo mantengono.
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