«Osservatora» così Lalla Romano ricorda che la definivano da bimba e lo stesso sguardo, acuto e attento, è di Miriam Pastorino. Nel suo Orfani e altre storie crudeli si presenta da cronista di razza: analizza senza entrare in circuito emotivo con i personaggi. Senza dar giudizi lascia che siano i fatti a parlarci. Ci offre otto racconti su una realtà senza bisogno di verosomiglianza perché è vera: ogni lettore ha certo visto storie del genere. Storie di egoismi che hanno portato allo «sfascio di valori» nella nostra società. Avverte Miriam: «L'aver vissuto, riponendovi qualche speranza la rivoluzione progressista, mi ha spinto a immaginare un percorso di risanamento che dovrebbe avvalersi degli stessi aspetti "militanti" usati dai progressisti per scavarci la fossa». Mette in risalto come gli individui, privati di un ordine superiore cui tendere (l'attuale vuoto di ideali), sacrifichino «quanto hanno di più caro sull'altare della confusione e dell'instabilità permanente».
Per esemplificare, dalla sua galleria di protagoniste.
In «Troppo tardi» Maddalena, già aspirante top model, pensa d'aver rimunerante sistemazione con Giorgio, marito separato. «È ora delle vitamine e degli antiossidanti», dice ossessionata da diete e conto-calorie quando apre il frigo. Al desco «che piange» (verdurine scotte, massimo un uovo sodo sbriciolato), parla al quasi marito di «colesterolo buono» e immaginatevi la gioia di lui ai monotematici discorsi. Poi, a 45 anni, credendosi incinta per un'amenorrea causata da restrizioni alimentari, spera d'incastrare il poveretto.
Tra altre donne dissennate, anche le "eterne bambine", tardone che gareggiano con le figlie ventenni, anche ex sessantottine, rimaste incinte durante le occupazioni universitarie, che poi abbandonarono il frutto del parto per correre in Oriente dietro droga e filosofie stranianti. Deludenti pure le anziane madri del tempo, quelle ancora campagnole, così pronte a coprire figli teppisti. Questi, presi poi dal lavoro (in un negozio procurato in cambio di voti da un politico compiacente), ricambieranno mamma, lasciandola morire sola, senza accompagnarne il feretro per non rinunciare al veglione di capodanno già prenotato.
Compaiono anche genitori, così egoisti da non saper fare i nonni. Nell'età della pensione, quindi più liberi del proprio tempo, si giustificano con gli acciacchi per godersi scampoli di vita, regredendo al giardino d'infanzia. E i padri? Paste frolle in mano alla compagna di turno, eternissimi bambini, incapaci di rapporto affettivo-educativo con i figli.
Non mancano le bambinaie per i neonati e le badanti per gli anziani: delle prime, scelte in base al «chi costa meno», si nota l'incoscienza, delle altre l'arte del raggiro che inizia con un florido seno poggiato per caso sulla spalla del vecchietto seduto. Brutto, bruttissimo mondo!
Dal marciume qualche fiore di speranza. Una figlia adolescente, costretta a trascorrere un mese con il padre separato, gli esibisce un tatuaggio: un cuore con dentro tre iniziali. Del nome suo e dei genitori. Mai ha dimenticato l'attimo magico in cui, bambina, cresceva con loro, giocando, ridendo. Ignorerà del tutto il padre quando questi sessantenne si farà irretire da una trentenne russa. Storie così comuni nella società globalizzata dove è avvenuta anche la globalizzazione di mogli d'ogni razza e provenienza.
Dal marciume, tra i fiori giovani donne in carriera che prima hanno studiato tanto e poi lavorano come matte, dimenticando ogni affetto. Compaiono nuovi mestieri e dalla nuova categoria di lavoratori spunta qualcuno più responsabile. Un ragazzo, esperto di computer, perciò chiamato «tecnomago» dalla matura compagna, rinsavisce per un amore giovane; un pubblicitario che aveva scelto una simpatica coppia di vecchietti per una pubblicità, quando li scopre raggirati da una badante, avverte la figlia lontana, minacciando di sporgere denuncia alla polizia. Così lei sistema i genitori in una casa di riposo, certo più controllata.
Se una filosofia si ricava da queste storie disperate è che il '68, le sue conseguenze, la recente globalizzazione, sono stati un tornado su chi non aveva «case» mentali sicure per affrontarli. Nella buriana c'è chi ha continuato a lavorare, a costruire, a sperare. In sottofondo, l'ideale di una scuola formativa, di genitori e nonni capaci di riappropriarsi del compito educativo, di un mondo del lavoro senza i sindacati della lotta di classe e dove le industrie non si spostano da Occidente ad Oriente per un risanamento da vasi comunicanti, troppo presto saturi. Un mondo dove ci sia spazio per sentimenti antichi, dove i segni di un lutto restano in cuore e non solo sulle vesti, comera per gente povera e semplice.
Il testo, di preziosa scrittura al femminile, è nei Libri del Peralto, (supplemento Rivista «Tradizione», ed. Ruggiero, via Pianelli 47, 20125 Milano).
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