Lo sport preferito di quelli che hanno in uggia Josè Mourinho è centrarlo con la seguente censura: trattasi di persona arrogante. Di questi tempi risulterebbe infatti falso e tendenzioso censurare il suo lavoro e in particolare la resa ottenuta sgabbiando dall'inizio della stagione (4 vinte e un pari nelle prime cinque). Dagli all'arrogante, allora. Arrogante perché sostiene che «contro il Catania se giochiamo normale vinciamo sempre noi», arrogante perché sentenzia che «non sono il migliore del mondo in assoluto ma non vedo in giro uno più forte di me», arrogante perché «ho visto la partita col Toro dello scorso campionato e mi pare ci sia stata un'altra Inter». Tutto quel che fa l'uomo di Setubal, in panchina quando prende appunti su un taccuino, o fuori dal campo, dentro il recinto di Appiano Gentile, quando spiega ai suoi l'obiettivo di una esercitazione, non va mai bene. «Non s'inventa niente» ripetono spesso i suoi colleghi, un po' seccati per l'eccesso di attenzione mostrata dai media che stravedono per il portoghese.
Al coro di sbarramento nei confronti del portoghese, partecipò anche Gianni De Biasi, l'allenatore del Toro che vive con il club di Cairo un rapporto tormentato: sono come certi fidanzati, si prendono e si lasciano almeno due volte l'anno. Nel preparare la sfida all'Inter di Mourinho, De Biasi si lascia contagiare dall'idea di accettare il confronto (vogliamo chiamarlo presunzione?) dimostrando che non appartiene alla specie degli italianisti, di qui la scelta di schierare tre punte e un centrocampo a tre. Col quale naturalmente va incontro a un naufragio clamoroso, 3 gol subiti in poco meno di un'ora, senza riuscire a stare mai in partita e ritagliandosi una piccola apparizione a risultato inchiodato, negli ultimi 15 minuti.
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