Grazie a Massimo Cotto, critico tra i più versati e versatili, per aver definito il rock del Duemila «il grido disperato di chi si oppone con la spada ai mulini a vento del pop preconfezionato e sotto vuoto spinto». E grazie al rock, quello autentico, per essere davvero, da mezzo secolo, come Cotto lo definisce: «patrimonio terribile e dolce di utopie e canzoni», preservato dalla fatiscenza grazie ad un imperativo di fondo, quello di «continuare a sognare».
Che questo sogno, in fondo, sia vincente lo dimostrano le oltre cinquecento pagine di Everybodys talking, editore Aliberti, in cui Cotto ha stipato cinquanta interviste ad altrettanti musicisti: tra essi molti donchisciotte cui dobbiamo se il rock della rabbia è sopravvissuto ai fasti effimeri del pop di consumo. Tanto che molti nomi qui sono dartisti non più giovani, eppure tuttora popolarissimi. Sicché ha ragione David Bowie, che confida: «Il rock continua a rimanere giovane anche se noi continuiamo a invecchiare». E del resto «ci sarà sempre - fa eco Robert Plant - il pop vacuo, la band da classifica. Ma esiste anche la voglia di una musica che intrattenga in altro modo». E che dura di più: ché, attesta Paul McCartney, tanto rock di quarantanni addietro ha acceso «scintille capaci di generare grandi fuochi», alla cui vampa continuano a scaldarsi anche i teenager: visto che, in unepoca in cui i miti giovanili franano in fretta, «è difficile fare a meno dei Rolling Stones», chiosa Mick Jagger.
Cè ununiversalità che rende sempreverde il messaggio di molti attempati maestri: è quella che distingue la classicità dal vecchiume, e calamita i giovanissimi sotto i palchi di Stones, Dylan, Springsteen fino al nostro Vasco, mentre difficilmente le giovani band attirano spettatori al di sopra degli anta. Le cause? Forse stanno nel binomio rock-utopia, che risponde a un impulso congenito nei giovani, e del resto - spiega Neil Young - se «lidealismo è scomparso nella gente, non lo è negli artisti». O forse stanno nel giustapporsi di passato e presente, che è proprio dei classici anche nel rock, tantè - dice Peter Gabriel, ricalcando Verdi - che «le invenzioni le ottieni non guardando subito avanti, ma prima indietro».
Ecco allora che un libro come questo ripropone il ruolo della musica come stimolo al pensiero, alternativa al consumismo becero, pur esaltato dallo sforzo dei media - tuona Roger Waters - di «contrabbandare per oro quello che è latta». Come nelle tv via cavo e nelle radio, con quei dee jay - sogghigna Aldo Busi - che «parlano senza dire nulla». Il vero rock è ben altro: è cultura, arte tra le arti. E infatti Nick Cave parla dei suoi rapporti con la Bibbia, Melville, Beckett «scrittore di rivelazioni», Roger Waters cita Shakespeare e Mann, David Byrne rende omaggio ai poeti beat per il loro «senso desuberanza, di gioia, di romantico idealismo».
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