La vetrina del libro in bilico tra e-book e crisi

Migliaia di editori, scopritori di talenti, autori rampanti. Tutti presenti a una kermesse-mercato dove andare forse è inutile, ma mancare non si può

In tedesco si chiama Buchmesse, che significa semplicemente fiera del libro. Ma quando, rivolgendovi a qualunque operatore editoriale, germanofono o meno, dite questa parolina, tutti sanno che non si sta parlando di una fiera qualsiasi. Che si sta parlando di Lei, la Buchmesse di Francoforte. La fiera del libro più grande d’Europa (anche se insidiata dal Salone di Torino), quasi certamente la più antica, senza dubbio la più prestigiosa. Insomma quella fiera a cui, a partire dal ’500 quando qui si compravano libri e caratteri mobili, ogni editore che voglia contare qualcosa deve per forza partecipare. Così anche quest’anno i numeri della Fiera, che apre oggi, sono impressionanti: 7mila espositori che vengono da 101 Paesi ad affollare i 171mila metri quadri della fiera, 403mila titoli, una pioggia di autori e di agenti che calano sugli hotel in riva al Meno.
Anche l’Italia mette in campo una pattuglia nutrita: trecento editori, e un «avamposto» nazionale, il «Punto Italia» in cui verranno esposti millecinquecento titoli. E come spesso accade, Francoforte è un palcoscenico adatto a fare il punto sullo stato di salute del mercato della cultura. Così i dati che verranno presentati oggi dall’Associazione Italiana Editori raccontano di un ritorno degli scrittori autoctoni e nostrani: negli anni ’90 il 25 per cento dei libri pubblicati in Italia erano tradotti da lingue straniere, adesso solo il 21 per cento. Ma alla fiera, che è anche un grande salotto, non si discute tanto di percentuali. Quanto alla presenza italiana, si parla soprattutto di scrittrici. Il romanzo in rosa (che non è il romanzo rosa) sembra essere un fenomeno che da noi sta esplodendo: tante le autrici che piacciono, tante le traduzioni all’estero. Giusto per fare qualche nome di quelli che a Francoforte verranno nominati spesso: Benedetta Cibrario, Melania Mazzucco, Valeria Parrella e Chiara Gamberale.
Su versanti meno legati alle penne e più al tintinnar di monete, il tema dell’anno sembra essere: «libro digitale o non digitale». Per la prima volta gli editori si chiedono davvero se finiranno con lo spegnere le rotative. Discorso su cui si innesta anche quello della crisi economica: qualche agente americano ha deciso che fosse meglio stare a casa. C’è anche, però, chi sostiene che il libro è un prodotto anticiclico, che vende, bene o male, a prescindere. Anzi c’è già chi della crisi ha fatto business: dagli Usa arrivano Too Big Too Fail di Andrew R. Sorking e The Greatest Trade di Gregory Zuckerman.

Il primo racconta la caduta di Wall Street. Il secondo è una biografia mordace del ministro americano del Tesoro, John Paulson. Per ora manca ancora il grande best seller che tutti vorrebbero. Ma, si sa, Francoforte e sempre più vetrina e sempre meno mercato.

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