«Façon de Venise» si chiamò, a partire dal Cinquecento, il modo elegante di trattare il vetro: i maestri vetrai della Serenissima Repubblica veneta, installati sull'isola di Murano, creavano oggetti per la mensa e per il decoro di purissime forme. Si chiamavano Barovier, Toso, Seguso, vere e proprie famiglie artigiane che di generazione in generazione si trasmettevano e tramandavano insegnamenti e tecniche di lavoro. Nonostante il declino della Repubblica marinara per eccellenza, ancora a fine Ottocento quella tradizione restava un must del made in Italy e nei romanzi e nei racconti di d'Annunzio, i poeta-avventuriero che si incarica di traghettare la borghesia del Bel Paese nella società di massa novecentesca è quell'arte a incarnare la continuità da un lato, la modernità dall'altro. Adesso, la casa d'aste Porro &C presenta nella sua sede milanese di palazzo Durini (via Santa Maria Valle 2) l'esposizione, con relativa battuta d'asta, dedicata ai «Vetri di Murano del 900 dalla raccolta di Eva e Bernd Hockmeyer e altre provenienze» (dal sei al nove maggio l'esposizione, il giorno dieci la relativa asta) ed è una gioia per gli occhi e un modo intelligente e non troppo oneroso di investire denaro: le stime di partenza sono infatti ragionevoli, non superando mai la cifra dei 25mila euro.
Curato dall'architetto Franco Deboni, il catalogo è un vero e proprio spaccato del XX secolo «sotto vetro», a partire da un raro vasetto a murrina policroma con motivi floreali disegnato da Ercole Barovier nel 1920 (base d'asta 22/25mila euro). Della Seguso Vetri Arte è invece una incantevole coppia di moretti in vetro lievemente iridato e foglia d'oro della fine anni Trenta (stima di battuta 3/4mila), mentre sempre dello stesso periodo è un vaso in vetro di Venini a «bollicine» con piede e bocca in vetro trasparente disegnato da Carlo Scarpa (base d'asta 15/18mila euro). Ancora di Venini è un piatto a forma di foglia in vetro a sottili canne nei toni del marrone e trasparente, su disegno di Tyra Lundgren (base d'asta 4/5mila euro). L'opera compare nelle pagine di «Le tre Venezie» del giugno 1938 dedicate ai vetri di Venini esposti alla Biennale.
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