«Vi racconto l’Italia della zona grigia»

«Me lo aveva chiesto una ragazza, una ragazza di destra durante un incontro a Roma nel quale presentavo Il sangue dei vinti. “Lei - mi disse - deve scrivere il Via col vento della nostra guerra civile”».
Racconta così Giampaolo Pansa la genesi del suo ultimo libro, il poderoso romanzo che narra il dramma italiano in anni terribili fra il 1940 e il ’46, focalizzando il racconto sul territorio fra Parma, Reggio Emilia e Modena, i luoghi dove, per dirla con un’espressione di Nora, la protagonista, d’inverno «nevicava sangue». I tre inverni della paura (Rizzoli, pagg. 567, euro 21,50) sarà in libreria dal 21 maggio. I tre inverni maledetti sono quelli del ’43-44, ’44-45 e ’45-46.
«Ora io non ritengo di essere una reincarnazione di Margaret Mitchell - prosegue Pansa -, ma dopo i miei saggi dedicati, fra il 2002 e il 2007, alla guerra civile, da I figli dell’Aquila fino a I gendarmi della memoria, sentivo il bisogno di congedarmi da questo argomento con un affresco più vasto e completo che desse per intero il senso di quanto accadde in quegli anni, al di fuori della retorica che per decenni ha occultato la verità in un’esaltazione a senso unico della Resistenza».
Un nuovo libro «revisionista» dunque.
«Non capisco perché chi racconta la verità, anche e soprattutto la più scomoda e taciuta, debba essere accusato di revisionismo. Se è così tutti gli storici sono revisionisti. Infatti è la stessa storiografia a mutare di continuo, correggendo errori, ottiche sbagliate».
Ma i «gendarmi della memoria» non saranno d’accordo...
«Devo essere sincero? Non me ne importa niente, peggio per loro. Credo che proseguire nell’ottusa deificazione di una sola parte (la Resistenza) e nella demonizzazione dell’altra (i fascisti) sia un clamoroso errore. Eppure la sinistra insiste, lo ha fatto anche nell’ultima campagna elettorale evocando fantasmi lugubri come “la marea nera”. Il risultato? Quello uscito dalle urne».
Veniamo al libro. Anzi, al romanzo.
«Come dicevo, citando la Mitchell, dopo una serie di saggi polemici volevo affrontare un grande racconto corale della tragedia italiana, anzi di tre tragedie: la guerra, la guerra civile 1944-45 e lo strascico della guerra civile fino al 1946».
Siamo sicuri di chiamare «guerra civile» anche l’ultimo periodo? In quegli anni, nel «triangolo della morte» e altrove, non si scontrarono più due fazioni in armi ma si assistette a un massacro unilaterale di cittadini inermi.
«Accetto la rettifica. Anzi, direi di più: si assistette al tentativo della frazione in armi del Partito comunista, particolarmente agguerrita in Emilia, di attuare la rivoluzione proletaria eliminando a uno a uno i “nemici del popolo”, colpendo secondo la strategia che anni dopo sarà seguita dalle Br di “colpirne uno per educarne cento”: uccidere un sacerdote come don Pessina, per esempio, per terrorizzare tutti i preti della zona, assassinare il sindaco socialista di Casalgrande per zittire qualsiasi antagonista. A un certo punto il numero degli omicidi salì talmente (oltre duemiladuecento in un anno solo fra Bologna, Modena e Reggio) che Togliatti si decise a intervenire imponendo lo stop in una riunione con i capi comunisti a Reggio Emilia il 23 settembre 1946. E da quel momento gli omicidi cessarono».
Dunque sono gli innocenti uccisi i protagonisti del romanzo?
«Il romanzo è dedicato a quella parte degli italiani - la stragrande maggioranza - che non si schierarono né da una parte né dall’altra, eppure soffrirono la guerra, la fame, la paura, la morte. È quella che Renzo De Felice ha chiamato “la grande zona grigia”, quella che non era né rossa né nera, che non si macchiò di nessuna ferocia, ma fu vittima di inaudite violenze. Conosco bene la “zona grigia” perché vi apparteneva anche la mia famiglia e volevo raccontare lo smarrimento, l’angoscia, il dolore di queste persone, schiacciate fra i contendenti in armi».
Così è Nora, la giovane protagonista figlia di un proprietario terriero di Parma, che ha perduto il padre della sua bambina nella campagna di Russia e perderà due cari amici, uno arruolato nelle Brigate Nere e uno fra i partigiani «bianchi». Ma Nora è un personaggio vero?
«Nora non è un personaggio vero. Veri sono tutti i nomi delle vittime e dei carnefici dei paesi dove d’inverno “nevicava sangue”. Nora simboleggia tutte le donne che hanno attraversato l’inferno. Le donne che sono rimaste a casa mentre gli uomini erano al fronte e che in realtà hanno combattuto una guerra altrettanto dura sul fronte della famiglia.

Le donne che sono rimaste sole ad affrontare una vita quotidiana sempre più difficile e pericolosa, spesso con figli o fratelli schierati su fronti opposti. Rimaste sole a difendere la casa, i bambini. Donne senza difesa che sono state rapinate, minacciate, violentate, uccise. Il mio romanzo è dedicato a loro».

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