In queste ore la Corte Costituzionale sta decidendo la sorte della legge 40, che regola la procreazione medicalmente assistita. Nonostante abbia attraversato indenne un referendum abrogativo, i detrattori della legge sono riusciti a costruirle una pessima fama, grazie a una campagnainsistente che fin dall’inizio ha ignorato allegramente ogni dato verificabile: l’importante era (ed è ancora) dimostrare che si tratta di una normativa ingiusta e inefficiente.
Facciamo qualche esempio. Durante la campagna referendaria l’accusa principale era che il limite dei tre embrioni era troppo basso, e che per ottenere buoni risultati se ne dovevano trasferire in utero di più. Quando poi si è visto che la pratica migliore è il trasferimento di un solo embrione, l’accusa si è rovesciata: si dice che tre embrioni sono troppi, e che la legge impone di trasferirli tutti. È falso, ma non importa: ripetendolo come un tormentone, l’opinione pubblica ha finito per crederci. È vero, invece, che la legge 40 non permette la crioconservazione degli embrioni: nessuno spiega, però, che nei Paesi in cui questo avviene non si sa come risolvere gli enormi problemi, non solo etici, che la pratica comporta.
Che fare di queste migliaia di embrioni, per la cui conservazione lavorano specifiche società di stoccaggio? I ricercatori non sanno che farsene - preferiscono gli embrioni freschi - e comunque utilizzarli vuol dire rischiare contenziosi giudiziari, perché i genitori devono dare il consenso, e raramente lo fanno. D’altra parte, è anche noto che la percentuale di successo della fecondazione in vitro si abbassa molto con gli embrioni congelati, e che quelli freschi danno risultati migliori.
La 40, come si sa, vieta la fecondazione eterologa, però pochi sanno che dove questa è permessa dilaga il fenomeno della compravendita degli ovociti, che viene pudicamente chiamata «donazione». Ma nessuna donna si sottopone gratuitamente a pesanti trattamenti ormonali e ad un intervento in anestesia generale per regalare i propri ovociti. Il risultato è che sono sempre di più le ragazzine che, per avere qualche soldo in tasca, si sottopongono a trattamenti rischiosi senza che i genitori lo sappiano: il fenomeno non riguarda più soltanto le giovani donne povere dell’Est, ma anche studentesse americane o spagnole che magari vogliono pagarsi gli studi.Una recente risoluzione del Parlamento europeo ha condannato queste pratiche, che purtroppo, a causa della crisi economica, si stanno diffondendo.
Si parla di cattivi risultati della legge. Ma la relazione annuale sulla legge 40, presentata la scorsa settimana al Parlamento, dimostra che, a dispetto di tutte le accuse, funziona: dal 2005 al 2007 sono aumentate le coppie che hanno avuto accesso alle tecniche (da 43.024 a 55.437), sono aumentati i cicli offerti, le gravidanze ei nati (da 4940 a 9137). Negli ultimi due anni ci sono state più gravidanze sia in cifra assoluta che in percentuale, nonostante l’aumento dell’età media delle donne italiane che accedono alle tecniche: il 25%dei trattamenti, infatti, è praticato su donne con più di 40 anni, quando la probabilità di avere figli crolla.
Il nostro Paese, inoltre, ha una percentuale di complicanze da iperstimolazione ovarica molto più bassa degli altri Paesi europei, perché le norme impediscono che, come accade per esempio in Gran Bretagna, si possa stimolare la produzione di ottanta (sì: ottanta, invece dell’unico che le donne in età fertile producono ogni mese) ovociti per volta. Si parla di troppi parti gemellari. Ma va detto che la media non dice molto: ci sono centri che non hanno nessun parto trigemino, e altri con risultati inaccettabili, fino al 13,3%.
La colpa non è dunque dei limiti imposti dalla legge, ma di cattive pratiche, altrimenti la media sarebbe più omogenea. Inoltre in Paesi come la Francia, la Spagna e l’Inghilterra, il numero dei parti gemellari diminuisce grazie alla cosiddetta «riduzione fetale», cioè agli aborti selettivi.
Insomma, la legge italiana sullaprocreazione assistita è in realtà una legge equilibrata, che produce buoni risultati, ed evita
pesanti ricadute sociali. Non resta che sperare che la Corte sia in possesso di tutte le informazioni necessarie a emettere un giudizio sereno. Eugenia Roccella*Sottosegretario al Welfare
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