Roma - La soluzione adottata dal Consiglio dei ministri sul caso Visco-Speciale era già pronta da una settimana: tant’è che Il Giornale l’aveva scritta il 26 maggio scorso. Perché, quindi, Palazzo Chigi ha aspettato sette giorni per introdurre una soluzione già pronta? Confidava che la vicenda potesse scivolare nel dimenticatoio. Quando ha capito che ciò non era possibile, è intervenuto. Per almeno quattro motivi.
Il primo. Il dibattito al Senato e l’atteggiamento di Di Pietro durante il vertice di maggioranza ha fatto capire a Prodi che il governo sarebbe andato «sotto», seppure su un ordine del giorno. E pur di evitarlo è corso in tutta fretta ai ripari con un vertice di maggioranza ed un consiglio dei ministri, ed applicando la soluzione già prospettata sette giorni fa.
Il secondo. Fino all’altro ieri sera Vincenzo Visco non aveva alcuna intenzione di rimettere «spontaneamente» - come ha detto Enrico Letta - le deleghe sulla Guardia di finanza. E soltanto questa mattina, dopo il vertice di maggioranza e prima del consiglio dei ministri, il presidente del Consiglio è riuscito a convincerlo.
Il terzo. Tommaso Padoa-Schioppa, che ora recupera le deleghe di Visco sulle Fiamme gialle, non aveva nessuna intenzione di farlo. Tant’è che fino all’ora di pranzo i suoi uffici erano impegnati a individuare il cavillo giuridico che potesse permettere il trasferimento delle deleghe sulla Guardia di Finanza al presidente del Consiglio, e non al ministro dell’Economia. Una legge del 1959, però, individua nel ministro delle Finanze il referente politico della Guardia di finanza. Con la riforma Bassanini, che ha unificato il ministero del Tesoro con quello delle Finanze, il referente è diventato il ministro dell’Economia. E non c’è nessuna legge che ipotizza un trasferimento delle deleghe al Presidente del Consiglio. Così, soltanto all’ora di pranzo, Prodi ha convinto Padoa-Schioppa che le deleghe doveva prenderle lui.
Il quarto. Roberto Speciale non aveva nessuna intenzione di dimettersi. E lo ha detto chiaro e tondo nel colloquio riservato avuto, a poche ore dall’inizio del consiglio dei ministri, con il ministro dell’Economia. Al termine, c’è chi lo descrive sorridente all’uscita dello studio di Padoa-Schioppa. Molto probabilmente, in quell’occasione, il ministro gli ha confermato l’ipotesi di una sua «promozione» a consigliere della Corte dei Conti.
Nella pubblica amministrazione, infatti, il passaggio alla Corte dei Conti viene considerato un premio per qualunque dirigente. Speciale fra pochi mesi sarebbe andato in pensione. Alla Corte dei Conti, invece, i consiglieri vanno a riposo a 75 anni. Ed è chiaro che nella partita che lo ha visto contrapposto a Visco, il governo, se ha scelto di premiarlo, ha riconosciuto implicitamente che non era lui dalla parte del torto. Questo, almeno, è il segnale che Palazzo Chigi ha inviato all’intera pubblica amministrazione, Forze Armate comprese.
Ma per quanto tempo Padoa-Schioppa eserciterà le deleghe sulla Guardia di finanza? Secondo il ministro, conserverà «temporaneamente» le deleghe: così gli avrebbe assicurato Prodi pur di convincerlo ad assumerle (i suoi predecessori, nella precedente legislatura, le hanno sempre conservate e mai affidate a viceministri o sottosegretari). Enrico Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, invece, non si sbilancia. «Vedremo come si svilupperanno i prossimi avvenimenti».
Dalle parti di Piazza Mastai, quartier generale di Visco, sono convinti che il viceministro recupererà presto le deleghe sulla Guardia di finanza, rimesse ieri con una lettera al presidente del Consiglio. Magari subito dopo il dibattito parlamentare di mercoledì.
Francesco Cossiga, però, prevede che possa avvenire anche prima.
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