La vicenda Scajola non sposta consensi La maggioranza resta a più 13 punti

RomaSi sbuffa in Transatlantico perché, questa volta, sembra diversa da tutte le altre. Tra i pidiellini c’è la convinzione che, come sempre, nel mirino ci sia Berlusconi e il suo governo. A differenza degli anni e dei mesi scorsi, tuttavia, l’attacco non è concentrico sulla persona del premier ma sugli uomini a lui vicini. È come se il «nemico», accortosi che il Cavaliere sia duro da abbattere, abbia deciso di colpire le gambe del tavolino per far crollare tutto. Le ultime bordate a Berlusconi sono andate a vuoto: in ordine di tempo, ci hanno provato con le gole profonde alla Spatuzza ma senza successo; poco prima con D’Addariopoli e dintorni ma anche lì è stato un buco nell’acqua. Perciò la nuova offensiva apre più fronti contemporaneamente: l’ormai ex ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, impallinato con la questione della casa; uno dei tre capi del partito, Denis Verdini, indagato per la questione dell’eolico in Sardegna; l’altro ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, che voci di corridoio danno nel mirino della magistratura, sebbene lui smentisca e ripeta «Non ne so nulla, dormo sonni tranquilli».
Un attacco micidiale che, a differenza del solito, non vede soltanto i magistrati in trincea. Alcune procure politicizzate sarebbero soltanto l’arma per uccidere il governo Berlusconi essendo ben altri ad avere interesse a far male a questo esecutivo. Poteri forti, grande stampa e nuovi nemici starebbero già ragionando a un domani diverso da un Berlusconi a Palazzo Chigi. Toghe, certo, ma non solo. La riprova è che Scajola, per esempio, sia caduto senza che nemmeno lo sfiorasse la pallottola giudiziaria. Nessuna indagine nei suoi confronti eppure: zac, fatto fuori. Diverso il caso di Verdini, nel mirino della Procura per dei progetti energetici in Sardegna sebbene lui giuri: «È un processo mediatico e comunque non ho ricevuto avvisi di garanzia». Un disegno. «Un disegno contro il Pdl, in chiave anti-riforme», giura il coordinatore di un partito che più scosso non si può.
Già, perché le nuove bordate colpiscono in un momento in cui proprio il partito è ferito dalla spina nel fianco di Fini e i finiani. Questi ultimi, pochi, divisi, ma agguerriti, giurano fedeltà eterna al programma di governo ma lavorano e ragionano per il «dopo». Garantiscono che «c’è un brutto clima - confida al Giornale un anonimo finiano - e c’è la sensazione che alcuni possano abbandonare il Titanic prima che affondi». Non solo: «A cercare di garantirsi un posto sulla scialuppa finiana ci sarebbero anche una decina di insospettabili pidiellini». Dal canto loro, i finiani hanno ricevuto l’ordine dall’alto: compatti, sempre presenti e fedeli per non dare il fianco all’accusa di essere traditori. Per ora. Poi si vedrà. L’altro vulnus, senza dubbio, è la gestione del gruppo a Montecitorio, dove troppe volte si è andati sotto, seppur con una maggioranza quasi bulgara: troppe assenze, troppe distrazione, troppa poca disciplina.
Di fatto c’è maretta. Un ex aennino filo berlusconiano ragiona così: «Purtroppo stiamo dando l’impressione di essere imballati e la gente si sta innervosendo». «Ormai si naviga a vista», dice un altro pidiellino che sottolinea come l’instabilità politica, adesso, sarebbe «una vera e propria sciagura. Grazie a Tremonti abbiamo i conti a posto o, meglio, meno peggio degli altri. Ma il momento di crisi è da far tremare i polsi e una crisi di governo a breve avrebbe conseguenze drammatiche». Ecco perché, se da un lato c’è una tensione palpabile, dall’altra c’è la necessità di stringere i denti e dispensare ottimismo. Non a caso Bossi mercoledì sera cercava di rassicurare tutti nonostante gli ultimi siluri: «Andremo avanti perché lo vogliamo io e Berlusconi», giurava il Senatùr nonostante le preoccupazioni anche del Carroccio.
La Lega per ora giura solidarietà e appoggio al premier, qualsiasi cosa accada, consapevole che le elezioni anticipate sono l’extrema ratio ma restano sullo sfondo.

«In fondo - confessa un leghista -, chi le vuole? Noi no perché sarebbe come buttare al vento l’occasione storica di fare il federalismo; non la sinistra che è ridotta allo sfascio; non Fini che si accorgerebbe di avere un pugno di voti». La palla è in mano a Berlusconi.

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