Per capire cosa sia stata la Rivoluzione russa, pochi libri possono essere più utili della testimonianza di Victor Serge (1890-1947), Da Lenin a Stalin 1917-1937, ora ripubblicata da Bollati Boringhieri (pagg. 186, euro 15). Victor Serge, figlio di un esule russo fuggito in Belgio dopo l'attentato ad Alessandro II (ucciso da una bomba il 13 marzo 1881) era naturalmente portato a schierarsi dalla parte dei rivoluzionari. Dopo varie vicissitudini raggiunse Pietrogrado nel 1919. Si unì ai bolscevichi, ma senza farsi intruppare. Li riteneva la forza più vitale e l'unica con qualche possibilità di salvare il Paese: «Essi erravano certo su parecchi punti essenziali: con la loro intolleranza, con la loro fede nella statizzazione, con la loro tendenza alla centralizzazione e alle misure amministrative. Ma, se bisognava combatterli con libertà di spirito e in spirito di libertà, era con loro, tra loro».
Ovviamente la sua idea di cambiamento dall'interno era assolutamente utopistica. Pian piano assiste al trionfo della Ceka, delle forze di polizia politica. Nessuno ascoltò i suoi moniti: «Il socialismo non si deve solo difendere contro i suoi nemici... deve essere anche difeso, nel suo proprio seno, contro i suoi propri fermenti di reazione».
Quando con la morte di Lenin nel 1924 iniziò la sanguinaria ascesa di Stalin, ovviamente Serge non esitò. Così scrive proprio in Da Lenin a Stalin: «Viene spesso detto che il germe dello stalinismo era presente nel bolscevismo fin dal suo inizio. Io non ho obiezioni. Solo aggiungo che il bolscevismo conteneva anche molti altri germi, e coloro che vissero gli entusiasmi dei primi anni della prima vittoriosa rivoluzione socialista dovrebbero non dimenticarlo. Giudicare l'uomo vivo dai germi che l'autopsia rivela sul suo corpo morto - e che egli poteva portare con sé dalla nascita - è questo sensato?». Di sicuro il germe «staliniano» lo mandò per due volte in galera. Messo ai margini della vita politica e spiato, nel 1933 venne spedito in Siberia. Riuscì a emigrare solo per l'insistenza degli intellettuali comunisti francesi che fecero pressione su Stalin. Tornato libero raccontò come lo stalinismo avesse schiacciato ogni forma di libertà. In Da Lenin a Stalin ne indicò tutte le colpe, a partire dall'uso sistematico della calunnia e del processo politico.
Ma ormai era un intellettuale apolide (morì in povertà a Città del Messico) e queste sue precise e crude analisi non potevano cambiare il corso della storia. Sono però, anche oggi, una testimonianza preziosa e lucidissima. Danno conto del dolore di chi si illuse e fu crudelmente beffato.
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