Vin Diesel, motore perfetto per i film a tutta velocità

L’infanzia difficile, un "corto" biografico, una parte in Salvate il soldato Ryan. Poi la saga di Fast&Furious, che ora giunge alla quinta tappa

Vin Diesel, motore perfetto per i film a tutta velocità

Con quella faccia da burino fatto e finito, Vin Diesel sembra quello che non è. Un eroe muscolare, cioè, un tizio fortunato che a Hollywood fa la star pagata e riverita della saga adrenalinica Fast&Furious. Certo, lui, Mark Vincent Sinclair III, Vin per gli amici, è noto a chi segue il cinema d’azione perché guidando auto veloci, con una certa furia e un bel numero di pupe da sballo, s’è guadagnato una posizione di rispetto con un tipo di cinema commerciale.
Tanto commerciale che la Universal da Rio de Janeiro, dove ha lanciato Fast&Furious 5, firmato Justin Lin, s’è messa a vendere magliette, borse e acque minerali col logo del film. Da noi questo thriller d’azione, con Vin nel ruolo di Dominic Toretto, ex-detenuto in coppia con l’ex-poliziotto Brian O’Connor (Paul Walker), sbarcherà il 4 maggio, però gli amanti del genere già sono in fibrillazione. Piace il cafone, con «Diesel» come nome d’arte, vista la potenza sicura e lo sguardo liquido da animale braccato. E però, come dicevamo all’inizio, l’attore, produttore, regista e scrittore di New York, dov’è nato il 18 luglio del 1967, senza peraltro mai conoscere suo padre, non è quel tarpano che appare sullo schermo, quando mostra i bicipiti dalla maglietta a mezze maniche.
Magari è merito del padre adottivo, insegnante di teatro al Greenwich Village, se Vin ha cominciato a calcare le assi di legno molto presto. Magari è tutto merito di quella pia donna che lo scoprì, mentre, a sette anni appena compiuti, stava devastando insieme a un amichetto il «Theatre for the New City». Roba da tribunale per i minorenni, visto che mamma Delora, psichiatra e astrologa, quindi mezza matta, doveva sorvegliare su quel rampollo disturbato. E invece, la pia donna di cui sopra dette ai due vandali ragazzini una ventina di dollari, un copione e un monito: state buoni e venite a teatro dopo scuola. Detto, fatto. Fu così che Vin, divenuto padre di Hania Riley nel 2008 grazie alla modella Paloma Jimenez, è diventato quel che è. Un bravo attore. E un tipo furbo, che ai giornali dice: «Non metterei mai la mia vita in copertina. Vengo dal codice del silenzio di attori come Marlon Brando, Robert de Niro, Al Pacino». Certo, di tali interpreti non ha un’unghia di sfaccettatura, però Vin Diesel fa incassare, anche se ha un’espressione da buzzurro in lotta col mondo.
E lotta, altroché, nel numero 5 del sequel «rapido&furioso». In qualità di ex-galeotto, fatto scappare di prigione dall’ex-poliziotto amico suo e da una donna fascinosa, Vin corre, guida come un matto fuoriserie stratosferiche, mantiene la parola data e tira pugni da stendere un toro... E pensare che nel suo primo cortometraggio, intitolato Multi-Facial (1994) per parlare dell’ingrato lavoro dell’attore, costretto a una, cento, mille inutili facce, Vin parlava di sé. Un povero cristo obbligato alla multi-personalità da una storia personale incerta: padre biologico ignoto, madre squinternata, non molti soldi. Ma proprio quel Multi-Facial gli portò la svolta con Steven Spielberg, che lo volle in Salvate il soldato Ryan nella parte di Adrian Caparzo. Incredibile, come solo nella storia a stelle&strisce. Da lì, una storia in discesa per il figlio di padre ignoto: nel 2001 ecco Rob Cohen scritturare il manzo tutto muscoli che per sbarcare il lunario faceva il buttafuori nelle discoteche di New York. Ed è subito lui il protagonista del primo Fast&Furious: brividi, adrenalina, corse in auto, ragazze a gogò. E pure Daria Argento, poi, nel fortunato XXX, con le tre «X» a simboleggiare l’extralarghezza dell’attore, due volte nominato agli MTV Award come «miglior interprete maschile».


Né finisce qui il cursus honorum del cafonissino: l’appena scomparso Sidney Lumet, regista tutt’altro che commerciale, nel 2005 lo pretese per Prova a incastrarmi, film basato su una storia vera, interpretata da Vin con molto zelo. È così che «il gigante di ferro» è cresciuto, tra scarsa stima di sé e molte buone opportunità, che la vita a volte presenta a chi nasce senza camicia.

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