«Vincere qui ha più gusto È un grave errore lasciar fuggire la corsa»

Colnago, il costruttore delle biciclette dei campioni: «I soldi contano, ma non si può dimenticare la storia»

«Se Milano si lascia sfuggire via il Giro d’Italia non fa di certo un buon affare». A dirlo è Ernesto Colnago, uno che in materia di ciclismo e affari se ne intende, visto che con le sue biciclette è diventato in quasi 60 anni di lavoro il numero uno mondiale dei costruttori di specialissime per il settore corsa. Un artigiano che ha trasformando il suo bugigattolo di Cambiago, alle porte di Milano, un vero e proprio atelier per i palati più fini ed esigenti in materia di biciclette da corsa. Con i suoi gioielli hanno corso un po’ tutti: da Fiorenzo Magni a Gastone Nencini, da Gianni Motta a Michele Dancelli, passando da Baronchelli e Bitossi per arrivare ad Eddy Merckx. E poi Saronni, Bugno fino ad Alessandro Petacchi.
«A Milano ci sono legato in modo particolare – ci spiega Colnago, forse il marchio più rinomato nel mondo, a tutti gli effetti la Ferrari delle due ruote -. Lì ho cominciato a lavorare, lì ho festeggiato qualche Giro d’Italia. Il primo, nel ’55, ero meccanico della Nivea-Fuchs, la formazione voluta e capitanata da Fiorenzo Magni. Fu lui a volermi giovanissimo al suo fianco. Prima partecipazione: prima vittoria. La più bella, la più inattesa, forse la più romantica in assoluto. Era il Giro della Trento-San Pellegrino, quella in cui Coppi e Magni misero in scacco Nencini fasciato dalla maglia rosa. Fu un capolavoro di tattica e di coraggio. A Milano, fummo accolti da una montagna di tifosi festanti. Se mi chiedete un parere sulla possibilità o meno di portare il Giro altrove, vi dico che non c’è nulla di scandaloso, perché il Giro ha dei costi e soprattutto deve andare dove è ben gradito, ma se Milano si lascia sfuggire un’occasione del genere, fa un grave errore. Mostrerebbe al mondo intero, sportivo e non, la propria inadeguatezza. Mi domando: Madrid può perdere l’arrivo della Vuelta? E Parigi può rinunciare all’arrivo del Tour? Perché Milano dovrebbe far finta di nulla?».
Colnago e Milano. Ha appena 13 anni quando varca i cancelli della Gloria, azienda che produce biciclette in viale Abruzzi 42. Per metterlo in regola arrivano a falsificare il libretto di lavoro. Ernesto ha appena 13 anni: per incominciare di anni bisogna averne almeno 14. Modificata la data di nascita e ottenuto il libretto di lavoro, Ernesto viene inquadrato nei ranghi con la qualifica di aiutante saldatore. «Poi mi spacco una gamba, per non rimanere con le mani in mano mi faccio portare a casa delle ruote da montare e mi accorgo che posso guadagnare di più e meglio di quanto facessi andando tutti i giorni a Milano. Convinco mio papà a darmi una mano ad aprire un piccolo bugigattolo dove incomincio a lavorare per conto terzi: è l’inizio della mia avventura».
Poi arriva Magni, che prima di tutti gli altri capisce la crisi che sta toccando il mondo della bicicletta. La gente comincia a preferire l’auto alla bicicletta e l’industria delle due ruote, che fino a quel momento aveva alimentato il ciclismo, si trova con il fiato corto. Ecco che Magni comprende l’importanza dell’abbinamento: assieme al marchio della bicicletta quello dello sponsor. Nasce la Nivea-Fuchs, primo esempio di sponsorizzazione sportiva. Nello stesso momento comincia a prender forma la fama di Ernesto Colnago, che di Giri ne vincerà sia come meccanico che come sponsor.
«A Milano ho festeggiato le vittorie di Magni (’55), Nencini (’57), Merckx (’72 e ’74), Rominger (’95) e Tonkov (’96) e devo dire che hanno un sapore tutto particolare. Ho vinto anche a Trieste (con Motta e Merckx), e a Udine (con Saronni), ma con tutto il rispetto, Milano è tutta un'altra cosa : è come entrare nel salotto buono, la vera e propria cerimonia conclusiva la sia può fare solo in una città come questa».
E allora come si fa? Angelo Zomegnan pare abbia già gettato più che delle basi per portare l’atto conclusivo della prossima corsa rosa a Verona. «Io conosco Zomegnan e trovo che stia lavorando non bene ma benissimo.

Un cosa è certa: il Giro non vive senza sostegni economici ed è giusto che stia attento anche a questi aspetti. Ma una cosa penso di saperla. Il suo cuore dice Milano, ma anche Milano a questo punto deve metterci un po’ di cuore».

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