Le vistite fiscali? Sono solo al Nord Roma da record: zero controlli

Da Torino a Venezia, se un impiegato sta a casa il medico fiscale arriva sempre. In Calabria succede 5 volte su cento. E nella città dei ministeri non si fanno visite. Ma la cura Brunetta comincia a funzionare

Le vistite fiscali? Sono solo al Nord 
Roma da record: zero controlli

Roma - Da Torino a Palermo. Da Venezia a Reggio Calabria. Ogni Asl è un mondo a parte, ognuno fa per sé. Il federalismo esiste, ma solo per le visite fiscali. Che al Nord vengono svolte praticamente sempre. Poi, scendendo lungo lo stivale, i controlli si fanno sempre meno frequenti, fino ad azzerarsi come avviene a Roma. Dove le visite fiscali dei dipendenti pubblici vengono evitate come la peste.

Di chi è la colpa? Delle leggi spesso in contraddizione tra loro e dell’organizzazione delle singole Asl. Quelle del Nord, per esempio, utilizzano i medici convenzionati, li pagano quasi 50 euro per ogni visita più il rimborso per le spese dell’automobile. E se i controlli vengono svolti dai medici interni alle Asl, allora viene data loro l’auto di servizio. Così avviene a Venezia, a Padova, a Milano e a Torino. Ma al Sud le cose cambiano e sembra che tutto venga organizzato su base volontaristica. Così a Napoli le visite fiscali spesso si fanno a piedi e a Palermo con il motorino, se si ha la fortuna di averlo. Altrimenti? Anche qui si usano le suole delle scarpe. Del resto, il regolamento di una Asl di Palermo prevede un’indennità di usura proprio per gli abiti e per le suole delle scarpe. A Napoli fanno quello che possono. Prendiamo la Asl 5, per esempio. Un bacino di 650mila utenti. «Ci stiamo barcamenando - spiega il dottor La Rana -. C’è carenza di medici e facciamo una selezione delle visite da effettuare. I nostri dipendenti girano a loro spese e solo fuori la cinta urbana la Asl rimborsa venti centesimi al chilometro». C’è parecchio malumore. Nessuno si ammazza di lavoro per raggiungere il malato, reale o immaginario che sia. Come a Reggio Calabria dove ci sono zone in cui la percentuale delle visite effettuate non supera il 5 per cento. In Sardegna stanno pure peggio. La Regione non ha ancora aggiornato i compensi per i medici convenzionati esterni a cui è affidato il controllo dei malati. I compensi risalgono al 1987, e per ogni visita la Asl paga circa 13 euro lordi che si riducono a 7 se il malato non si trova in casa.

Le pratiche inevase crescono. Soprattutto quelle che richiedono la visita fiscale per un giorno di assenza. «Per fortuna la gente si ammala di meno – racconta La Rana –. Qui a Napoli stiamo registrando anche il 60 per cento in meno di assenze per malattia. E i furbi hanno paura delle nuove regole. Se si sta a casa si perde una parte dello stipendio». Già, perché con l’abolizione delle fasce orarie obbligatorie, i controllori hanno più tempo per presentarsi a casa del dipendente che non può più utilizzare il giorno di malattia per farsi i propri comodi a spese della collettività.

Anche a Reggio Calabria gli ammalati come per incanto diminuiscono. «A luglio abbiamo avuto un calo del 50 per cento, adesso siamo intorno al 30 per cento in meno», racconta Marcello Bolignano, dirigente medico, vent’anni alla medicina legale della Asl numero cinque. Che rileva un importante aspetto del «decorso» delle malattie: «C’è stata una diminuzione della durata delle prognosi. Prima, per un’influenza con febbre avevamo una richiesta di 7 giorni. Ora, dopo il decreto Brunetta, si sono ridotti a tre, a volte a due. Insomma, quando si tocca il portafoglio si guarisce prima». I controlli però, restano insufficienti. I medici sono pochi e gli esterni non vengono ingaggiati dalle Asl. «Abbiamo solo tre medici addetti alle visite fiscali e ci rimettono soldi pure per la benzina quando vanno in giro per la città. Quando arriverà l’epidemia influenzale mi metterò le mani nei capelli - confessa Bolignano - non so come faremo a controllare tutti».

Una nota positiva dunque, c’è. Con o senza controlli, i malati sono diminuiti. «Il decreto Brunetta ha toccato l’assenteismo. La gente comincia a prendere coscienza della malattia. Una volta si faceva il certificato medico per assentarsi dal lavoro. E ogni cinquanta ammalati controllati, dieci erano fuori casa. Ora al massimo ne trovo due». E questo secondo Bolignano è dovuto alla decurtazione dello stipendio di chi sta a casa. Un provvedimento che non convince del tutto il dirigente: «Il decreto Brunetta è giusto, ma andrebbero introdotti dei correttivi. C’è gente che va a lavorare anche ammalata, pur di non perdere lo stipendio. E chi sta male una volta all’anno viene penalizzato come chi lo fa ogni mese».

Anche a Torino, dove su 3.250 richieste ne vengono evase 2.

900, ammettono che l’idea vincente sia stata quella di toccare lo stipendio. «La soluzione elaborata da Brunetta – racconta Roberto Testi, della Asl 2 – non sta tanto nella visita fiscale a tappeto, ma soprattutto nella decurtazione di dieci euro dallo stipendio per ogni giorno di assenza».

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