Vita da comitati, quando la protesta è un lavoro

C’è San Siro Vivibile che appena comincia la bella stagione, inizia la battaglia contro i concerti al Meazza e l’anno passato è riuscita a mettere in fuga persino il Boss, Bruce Springsteen. La Cittadella invece raccoglie intorno a sé gli abitanti delle Colonne di San Lorenzo. E poi i più «anziani», quelli dell’Alzaia Naviglio Pavese che per primi hanno iniziato a combattere contro il rumore dei locali notturni. Eccoli i comitati cittadini, le associazioni di residenti che hanno deciso di unirsi in gruppo per portare avanti le proprie rivendicazioni contro l’amministrazione comunale. Saranno un centinaio a Milano o poco più a spartirsi la città zona per zona, quartiere per quartiere. A colpi di ricorsi, diffide, esposti e denunce. L’ultima, dopo quella sull’inquinamento ambientale presentata dal Codacons, l’ha firmata l’associazione ProArcoSempione procurando al sindaco Letizia Moratti l’iscrizione nel registro degli indagati per omissione di atti d’ufficio per il caso delle ore piccole all’Arco della Pace. La movida, per intenderci.
Ma chi c’è dietro questi gruppi che hanno trasformato la contestazione in un secondo mestiere, chi sono i loro «capipopolo»? Aspiranti politici che hanno tentato la fortuna alle scorse elezioni provinciali e poi non ci sono riusciti, compagne di ex rappresentanti delle istituzioni cittadine, professionisti illuminati che «la città deve cambiare, ma non nel mio giardino». «A volte ci sono consiglieri comunali o ex consiglieri che usano il comitato per una propria ambizione politica e in alcuni casi ne fanno un motivo di consenso politico». Da cercare nell’elettorato di centrosinistra, per l’esattezza. Liberi professionisti, ex imprenditori o manager d’aziende e giornalisti: lo zoccolo duro sono una ventina di persone non di più che si riuniscono una volta alla settimana per decidere la linea da tenere sulle varie questioni che riguardano il loro quartiere.
Poi c’è il presidente onorario del coordinamento dei comitati cittadini che riunisce sessanta sigle, Carlo Montalbetti e che a Palazzo Marino è stato eletto come consigliere nelle liste del Pd. «Il punto di riferimento è lui - continua Terzi -. E lui è uno di quelli che spesso presenta le mozioni contro il rumore o per i locali chiusi alle 22. Ma i comitati sono nati come sistema spontaneo e il fatto che abbiano un coordinamento distrugge in parte, questo ideale di poter risolvere le questioni localmente. Vuol dire farlo diventare un problema della città».
Certo, ci sono presidenti e presidenti. Alcuni diventano politicizzati e magari altri no. Ma il punto è l’effetto che questo genere di contestazioni possono avere. «La cosa che mi preoccupa - aggiunge Giovanni Terzi - è che questa protesta venga portata avanti anche dalla magistratura. Una buona amministrazione deve garantire diritti e doveri di tutti». Ovvero il riposo nelle ore notturne per chi lo richiede, ma anche la possibilità di vivere una città come Milano che ha l’ambizione di essere una metropoli internazionale. Secondo l’assessore c’è bisogno di fare chiarezza: quando l’amministrazione ha cercato di regolamentare la movida, non ha potuto portare avanti i propri provvedimenti perché alcuni esercizi commerciali avevano fatto ricorso al Tar. E la magistratura gli ha dato ragione.

«Poi però, arriva l’avviso di garanzia perché non facciamo abbastanza contro il rumore. È una dicotomia spaventosa. Invece si deve trovare un equilibrio, è l’elemento che serve. Questo avviso è alla città di Milano e alla possibilità di vivere super partes. E ho paura che ci sia una deriva eccessiva...».

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