«Cè stato un tempo nella mia giovinezza, negli anni Trenta, in cui la corrente della manipolazione ideologica era così forte che io, studiando alluniversità, leggendo Marx, Engels, Lenin, credevo di scoprire grandi verità, e noi ci sentivamo persino riconoscenti del fatto che grazie a Marx eravamo ormai esentati dal dover leggere tutta la filosofia mondiale precedente, quei venticinque secoli di pensiero; avevamo tutte le verità a portata di mano! Ah, è davvero un veleno terribile quando ti dicono che la verità è già stata trovata». Così Aleksandr Solzenicyn rievoca le tentazioni del comunismo. Siamo negli anni Trenta, il futuro premio Nobel per la letteratura, il simbolo della lotta al totalitarismo sovietico e della resistenza al materialismo storico, è uno studente di matematica iscritto alluniversità di Rostov. La propaganda stalinista è martellante, e produce effetti tangibili: «Presi a simpatizzare per questo giovane mondo. Il mondo sarà come noi lo avremo creato... Mi lasciai prendere dalla corrente».
Nel 1937-1938, nelle aule parte una campagna di reclutamento per la scuola dellNKVD, la polizia politica da cui nascerà il KGB. E lo scrittore, poi perseguitato per decenni proprio dai servizi segreti sovietici, quasi crolla: «Penso che se avessero fatto pressioni molto forti, ci avrebbero fatto cedere tutti». Lo dirà in Arcipelago Gulag, lopera che farà tremare le fondamenta dellURSS, rivelando che il lager non era una stortura, una deviazione, ma lessenza stessa del sistema socialista. E ancora: «Io mi attribuivo unabnegazione disinteressata. Ed ero in realtà un boia belle pronto. Se fossi capitato alla scuola dellNKVD ai tempi di Ezov forse sarei stato perfettamente a mio agio con Berija... Davanti alla fossa nella quale eravamo lì lì per spingere i nostri avversari, ci fermiamo stupefatti: è puro caso se i boia non siamo noi, ma loro».
Forse non fu merito del «puro caso» ma di una predisposizione alla spiritualità impossibile da soffocare nonostante le seduzioni delle «verità» marxiste. Infatti, nello stesso periodo in cui tenta (inutilmente) di appassionarsi al Capitale, Solzenicyn butta giù versi che tirano in unaltra direzione. Quelli che seguono sono del novembre 1937, e coincidono con le campagne di reclutamento dei servizi stalinisti: «Cosa cè là, dove la morte col suo respiro/ Tocca il cuore mio/ Là... oltre lultimo distacco?.../ Cosa cè là, dove non cè niente?».
Gli uomini sono sempre un po più complicati di quello che sembrano e Solzenicyn non sfugge alla regola. Anzi. Per questo sono preziose tutte le 1442 pagine di Solzenicyn (Edizioni San Paolo, euro 84), poderosa biografia scritta da Ljudmila Saraskina, specialista di Dostoevskij, direttrice dellIstituto Statale di Critica dArte dellAccademia delle Scienze Russa (ma anche amica e stretta collaboratrice di Solzenicyn stesso).
Figlio di un ufficiale dellesercito zarista e della giovane erede di un patrimonio agricolo, Solzenicyn nasce nel 1918. Si trova subito a cavallo di due mondi: quello della tradizione e quello della rivoluzione. Il secondo spazzerà via il primo: la memoria del padre sarà cancellata e il nonno materno Scerbak, dopo la confisca dei terreni, subirà lonta del carcere nel 1930. Fin da giovanissimo, sente la vocazione dello scrittore e ha chiaro quale sarà il suo destino: scrivere la storia del 1917, raccontare il passaggio dal vecchio al nuovo. Eppure rimane un autore inedito fino al 1962, quando la pubblicazione sulla rivista Novyj Mir di Una giornata di Ivan Denisovic, resoconto straziante della vita nel gulag, lo rende nel giro di poche settimane una celebrità sia nella Russia di Chruscev sia nel resto dEuropa.
Prima di Ivan Denisovic cè la Seconda guerra mondiale, combattuta anche in prima linea; larresto per aver insultato Stalin nella corrispondenza con un amico al fronte (N. Vitkevic); il trasferimento alla famigerata Lubjanka; le torture psico-fisiche e la inevitabile «confessione»; lallucinante esperienza del lager e del confino (fine pena: febbraio 1953); laddio definitivo alle menzogne del comunismo in nome della fede; una intensa attività di scrittore «clandestino»; la riabilitazione resa possibile dal clima di disgelo seguito alla morte di Stalin.
Dopo Ivan Denisovic cè il ritorno alla semi-clandestinità almeno come autore; il ricorso al samizdat per far circolare le opere; il Premio Nobel (1970); un lungo braccio di ferro con le autorità, ormai apertamente sfidate; luscita in Francia di Arcipelago Gulag (1973); il sequestro dellarchivio personale; un paio di agguati del KGB dai quali si salva per miracolo; larresto e infine lespulsione dallUnione sovietica (1974).
Larrivo in Europa e poi negli Usa di Solzenicyn, inizialmente trionfale, si trasformerà in una sorta di esilio nellesilio. Lo scrittore prenderà alla lettera la libertà di parola offerta dallOccidente. E la utilizzerà senza risparmiare critiche al modello capitalista, spiazzando tutti. La democrazia liberale infatti non gli sembra priva del principale vizio del totalitarismo sovietico: il materialismo. (Anche il nostro mondo editoriale, un tempo vagheggiato, lo delude perché gli sembra composto da «predatori e babbei» dalle «mani prensili» che ignorano la libertà di cui godono senza merito). Dal suo ritiro nel Vermont, negli Usa, si levano parole spesso etichettate come nazionaliste, teocratiche, reazionarie e perfino fasciste. Natura e cristianesimo sono i due pilastri da riscoprire per salvare la madre Russia ma loperazione è complicata dalla «tribù istruita», lintellighentia succube del marxismo o del mercato.
Nel 1994 torna in patria passando per Vladivostok: dallestremo Oriente a Mosca, per abbracciare in treno lintera patria.
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