S’intitola Le passioni del Dragone (Mursia editore, pagg. 182, euro 24) il nuovo libro di Lucio Lami. E il sottotitolo chiarisce subito quali siano le passioni in questione: Cavalli e donne: Caprilli campione della Belle Époque. Una biografia, dunque, dell’uomo che - cito dal risvolto di copertina - «ha segnato in modo indelebile la storia dell’equitazione rivoluzionando radicalmente il modo di stare in sella: e ha imposto un metodo che nel giro di pochi anni sarebbe stato adottato dalle Cavallerie di tutto il mondo».
È stata breve l’esistenza di questo innovatore e, nonostante il luccichio mondano delle conquiste femminili e la straordinaria gloria sportiva, è stata anche segnata da tragedie. Ultima quella d’una morte prematura. Arrivato in treno da Pinerolo il 5 dicembre del 1907 Federico Caprilli, capitano trentanovenne - al tempo le promozioni erano concesse con parsimonia - ma celebrità mondiale, s’era avviato, in una Torino avvolta dal gelo, verso la casa della fidanzata Vittorina Lèpanto: una bellissima attrice del varietà. Dopo molte avventure anche altolocate Caprilli intendeva mettere ordine nella sua vita sentimentale, sposandosi. Vittorina pareva più adatta al ruolo d’amante che a quello di moglie. Ma nella circostanza Caprilli non volle tener conto - gli fa onore - dei pregiudizi di casta. Vittorina tuttavia non era in casa. Irritato, Caprilli raggiunse la scuderia dei fratelli Gallina, vicino alla Piazza d’Armi: lì gli fu presentato un «morello di belle fattezze e dall’aria vivace», che era stato provato anche dalla duchessa d’Aosta. Caprilli montò in sella, e imboccò la via Morosini. «Il cavallo procedeva al piccolo trotto - raccontò poi uno dei fratelli Gallina - la più pacifica delle andature... Ad un tratto vidi il capitano barcollare sulla sella poi precipitare con la testa all’ingiù». Così morì il leggendario Caprilli, dominatore dei concorsi ippici. Lami butta là un interrogativo inquietante: se Caprilli era stato visto cadere con la testa in avanti, come mai aveva potuto fratturarsi alla nuca?
Convittore scolasticamente mediocre e anche piuttosto indisciplinato Caprilli - dotato da madre natura d’un eccellente fisico, era alto un metro e 83 centimetri, statura eccezionale al tempo, anzi ritenuta eccessiva per l’ippica - trovò la sua strada e appagò la sua vocazione quando poté dedicarsi ai cavalli. Era, la sua, un’epoca senza guerre importanti, gli ufficiali sfoderavano le armi soprattutto nei frequenti duelli per i più svariati motivi. Come strumento bellico la cavalleria era agli sgoccioli - dopo l’avvento della mitragliatrice - anche se non tutti i generali se ne rendevano conto. Caprilli si dedicò con entusiasmo alla modifica delle vecchie norme, codificate in manuali, che prescrivevano come si dovesse stare a cavallo. Aveva notato che i cavalli scossi, ossia senza cavaliere, «si inarcavano naturalmente, abbassando la testa, non appena intrapresa la parabola discendente del salto». Ritenne che quel movimento dovesse essere rispettato, alleggerendo il peso sulle reni del cavallo con il sollevarsi dalla sella. Una rivoluzione copernicana. Non era più il cavallo a doversi adattare al cavaliere, ma il cavaliere al cavallo». Caprilli davvero sussurrava ai cavalli, e riusciva a trasformare dei brocchi in campioni.
Federico Caprilli era molto legato alla sorella Ida, fidanzata con il conte pisano Giuseppe Franceschi Parra che tuttavia, poche settimane prima di condurla all’altare, si ritirò: adducendo come motivazione la «vita troppo sregolata» del fratello. Ci fu la sfida d’obbligo, e a quanto sembra il Parra ebbe l’impressione che Caprilli volesse regolare la faccenda all’ultimo, non al primo sangue.
Perciò, voltate le spalle all’avversario, se la diede a gambe. Non varrebbe la pena di indugiare su questa farsa se non si fosse tramutata in tragedia. Ida Caprilli, disperata e disonorata, si tolse la vita. Meglio i cavalli degli uomini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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