Al Vittoriano di Roma Gli Impressionisti furono i primi ecologisti

Dopo tante mostre si può dire ancora qualcosa di nuovo sugli Impressionisti? Sembra di sì, come testimonia una ricca e interessante rassegna aperta da ieri al Complesso del Vittoriano di Roma, con il titolo «Da Corot a Monet. La sinfonia della natura» (sino al 29 giugno, catalogo Skira). I curatori, Stephen F. Eisenman e Richard R. Brettel, hanno puntato ambiziosamente sul rapporto tra Impressionismo, Natura e Modernità, indagandolo da una nuova prospettiva. Con che risultato? Che gli Impressionisti risultano tra i primi ecologisti.
Sembra strano, ma la tesi dimostrata attraverso ben 170 dipinti, oltre a fotografie e documenti, risulta convincente. Si comincia dalle radici del fenomeno, da quei paesaggi classicheggianti che facevano bella vista nei Salon, molto tradizionali, come le belle ed eleganti vedute di Henri-Joseph Harpignies. Per passare poi ai paesaggi più semplici, rurali e campagnoli, dei pittori della Scuola di Barbizon, che immortalavano sole e campi nella foresta di Fontainebleau, scegliendo soggetti umili e antitradizionali: le betulle e le stradine di Corot, le rive sull’Oise di Daubigny. La natura en plein air fa il suo ingresso sulle tele, con una nuova attenzione alla luce e all’atmosfera e una insolita spontaneità. È il vero punto di partenza degli Impressionisti, che amplificano e unificano le visioni dei maestri di Barbizon. Non si tratta più di rappresentare brani di natura, come facevano quei bravi pittori, ma di immergersi nella natura stessa, nella sua luce, nelle sue acque, nel suo cielo, in paesi e città.
Già, perché gli Impressionisti sulle tele infilavano anche fabbriche e mulini, battelli e spaccati urbani, ferrovie e stazioni, insomma la modernità. La natura dipinta diventa il risultato dell’equilibrio e della commistione di tutte le parti del mondo, l’insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro. Gli Impressionisti tenevano ben presenti riviste scientifiche come La Nature di Gustave Tissandier e gli studi geologici di Elisée Reclus. Così tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, la luce irrompe sui dipinti di Monet a pennellate frenetiche, mentre i suoi treni sbuffano sulla neve, e a noi pare di essere lì dentro, a guardare dal finestrino alberi spogli e steccati.

Mentre l’acqua invade le opere di Alfred Sisley, maestro nel rappresentare i cicli della natura e il potere dell’idrologia. E Bazille? Attraverso quella bella ragazza seduta su una zolla erbosa, ci fa entrare in un lussureggiante paesaggio provenzale.
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