Va da sé che questo sedicente «derby d’Italia» fa masticare amaro qualche milione di tifosi. Domani sera c’è Juve-Inter, ed è giusto parlarne ampiamente. Si incontrano la prima e la terza del campionato, insieme sommano 62 punti in classifica, di gran lunga avanti all’altro big match di domani, seconda contro quarta, Milan-Sampdoria, che fanno 52 punti, 10 di meno. Ok. Ma perché derby d’Italia? È proprio necessario chiamarlo così? Perché a un milanista, per citare un tifoso a caso, questa cosa del derby d’Italia non va proprio giù. Ma forse nemmeno agli altri: nell’Italia dei campanili, e delle stracittadine, quelle vere, come si può pensare di polarizzare il tifo nazionale tra la Juventus di Torino e l’Internazionale di Milano? C’è forse qualcuno che pensa che 40 e più milioni di italiani calciofili, sabato sera si divideranno in tifosi accaniti, chi della Juve, chi dell’Inter?
Per qualche periodo della centenaria storia del calcio italiano questa cosa poteva pure essere digerita dal lato, diciamo così, «numerico». Bisognava in qualche modo essere pronti a subirla, a tradimento, in qualunque momento: dal parrucchiere, sul tram, per non parlare del bar. E sì perché, comunque la si girasse, quelle due squadre lì avevano, a livello nazionale, qualche numero in più. Era odioso ammetterlo, ma avevano vinto più scudetti di tutte. E per di più, dopo il famigerato 1980 (anno della «caduta» del Milan), erano pure le uniche due mai retrocesse in serie B. Ma la verità è che Juve-Inter si chiama «derby d’Italia» da 42 anni, cioè da quando Gianni Brera, nel 1967, attribuì il termine «derby», fino a quel momento limitato alle sfide stracittadine, anche a una (e una sola) partita di livello nazionale. Eleggendo la sfida Juve-Inter a quella tra le due squadre più rappresentative del calcio italiano. Correva, appunto, l’anno ’67. L’Inter aveva vinto la stella del decimo scudetto (secondo di fila) e si apprestava a perdere l’undicesimo all’ultima giornata, sciagurato 1-0 a Mantova, subendo il sorpasso proprio dalla Juve, che si cuciva già allora sul petto il tricolore numero 13. Inseguivano il Genoa a quota 9, Milan 8, Bologna e Pro Vercelli 7, Torino 6. Ma quel periodo lì, legato soprattutto all’Inter di Herrera, è finito presto. Mentre la Juve ha continuato a macinare scudetti per i successivi vent’anni al ritmo impressionante di uno su due.
Dunque se si vuole a tutti i costi comporre il derby nazionale, come aveva fatto Brera (e un po’ come si fa in Spagna per Real Madrid-Barcellona), passi la Juve. Ma sull’altra squadra c’è da discutere. Negli ultimi 15 anni, dopo la Juventus (27 titoli) la più scudettata è stata il Milan (17), raggiunta dall’Inter solo l’anno scorso e solo dopo l’assegnazione del titolo 2006 a tavolino. Se si guarda ai trofei ufficiali complessivi, la Juve ne ha 51, il Milan 45, l’Inter 33. E a livello internazionale, la classifica recita Milan 18, Juve 11, Inter 7. Infine, se si guarda all’anzianità, la Juventus nasce nel 1898, il Milan l’anno dopo, mentre per l’Inter bisogna aspettare il 1908. Sui tifosi, detto che la Juve è quella che ne conta di più (chi dice 13, chi 15 milioni), il secondo posto dovrebbe essere del Milan con 9-10 milioni, ma con l’Inter a un’incollatura. Insomma, i numeri parlano di nuovo chiaro, come parlavano chiaro 42 anni fa. Ma sono cambiati.
Dunque, che fare? Niente. Il bello del calcio è anche questo: quelli che continueranno ad aspettare il derby d’Italia, e quelli a cui continueranno a girare le balle.
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