Voglia d'indipendenza La terra d'oltremare che preoccupa Parigi

Le spinte autonomiste degli indigeni sono forti ma il 60% dei cittadini vuole restare francese

Voglia d'indipendenza La terra d'oltremare che preoccupa Parigi

Spersa nell'immensità del Pacifico meridionale, a 17mila chilometri di distanza dalla Francia, la Nuova Caledonia «le Caillou», il ciotolo, è una delle ultime briciole di un impero da tempo evaporato. Il tricolore sventola laggiù dal 1853, quando il marchese du Bozet lo innalzò in nome e per conto di Napoleone III. Il baffuto erede del «grande corso» fedele alle idee santsimoniane cercava sbocchi per la manodopera francese in eccesso, nuove terre da colonizzare e civilizzare e, al tempo stesso, posti remoti dove scaraventare detenuti comuni e prigionieri politici. Insomma, un luogo adatto per fieri coloni, militari in cerca d'avventura, ardenti missionari e una più salubre Guyana per rompiscatole assortiti. Il «Caillou» sembrò la destinazione adatta.

In pochi decenni il possedimento si popolò di contadini, allevatori, mercanti, avventurieri con l'apporto una volta espiata la pena di alcuni ex forzati. Accanto agli esagonali, arrivarono anglo-sassoni e irlandesi, poi pattuglie di italiani, tedeschi, spagnoli, arabi (in questo caso algerini deportati) e ancora cinesi, vietnamiti, polinesiani, indiani. Prese così forma il popolo «caldoche», una società coloniale multietnica quanto fortemente patriottica. Una piccola Francia agli antipodi.

Poi fuori dalle città, nella foresta, sulle isole minori c'erano (e ci sono) gli altri. I Kanak, gli autocnoni melanesiani, un popolo orgoglioso e inassimilabile ma frammentato in 300 clan con trenta dialetti diversi. Fatalmente i nuovi arrivati si scontrarono con gli indigeni. Iniziò così una lunga storia di incomprensioni, espropri, rivolte, repressioni, concessioni e altre rivolte. Per un secolo i governatori (alcuni ottimi, altri pessimi) alternarono tentativi d'integrazione alla formula flic et matraque, gendarmi e manganello. Senza grandi risultati.

Finalmente nei Sessanta, quando il vento della decolonizzazione iniziò a spirare sempre più forte, Parigi decise d'investire sul territorio. Per due ottimi motivi. Primo: la Nuova Caledonia cela nelle sue viscere l'11% delle riserve mondiali di nickel, minerale indispensabile per forgiare l'acciaio inossidabile. Secondo: grazie alla sua posizione geografica, il «Caillou» consente alla Francia unica potenza europea rimasta in Oceania dopo la ritirata britannica di proiettare la sua presenza (seppur secondaria) nel Pacifico, uno scenario sempre più strategico.

Negli anni lo sfruttamento industriale del nickel produsse un boom economico che riempì i forzieri delle compagnie e dello Stato e inebriò i «caldoches», ma gran parte dei Kanak (il 44% della popolazione) rimasero ai margini del grande banchetto. Seguirono delusione e rabbia, ma Parigi non comprese.

Da qui lo sgomento quando negli anni Ottanta le tensioni nuovamente esplosero. Su impulso del Fronte nazionale di liberazione kanak socialista (FLNKS), gran parte della comunità melanesiana boicottò le elezioni del 1984. Un segnale forte ma inascoltato. Seguirono proteste sempre più violente che culminarono il 5 maggio 1988 con il sequestro di alcuni gendarmi in una grotta di Ouvea. Il presidente socialista Mitterrand ordinò alle forze speciali d'intervenire, ma l'operazione, mal condotta e peggio gestita, si trasformò in una carneficina con la morte di 19 insorti e due ostaggi. Troppo. Due mesi dopo Jean-Marie Tjibaou (per il FLNKS), Jacques Lafleur per le RPCR (i «caldoches») e il premier Michel Rocard firmarono gli accordi di Mantignon in cui venivano istituite tre nuove province autonome e previsto entro dieci anni un referendum sull'autodeterminazione. Un atto di realismo tra responsabili. Purtroppo il 4 maggio 1989 Tjibaou venne assassinato da un ultrà kanako.

Dieci anni dopo Lionel Jospin, altro ministro socialista, sigillò l'accordo di Noumea, l'avvio di un processo ventennale di decolonizzazione. A piccoli passi Parigi ha trasferito al governo locale alcune funzioni sicurezza interna, educazione, norme commerciali e investito generosamente in infrastrutture e programmi sociali. Oggi il livello di vita del territorio è pari a quello dell'Alsazia-Lorena e nettamente superiore a quello dei tanti micro-stati oceanici ma le disparità tra le diverse comunità non sono diminuite. Anzi. Se nella provincia del Sud, urbanizzata e a maggioranza «caldoche», il tasso di povertà rimane attorno il 9%, nelle zone kanak i numeri si alzano vertiginosamente: 52% nelle Isole della Loyauté e 35 al Nord. La rottura etnica ed economica ma anche politica. La destra anti indipendentista da sempre ha la maggioranza e alle ultime presidenziali francesi François Fillon ha vinto al primo turno (31,13%) mentre al secondo girone Marine Le Pen ha ottenuto il 47,43.

Numeri che inevitabilmente si ripercuoteranno sull'ennesimo referendum previsto per il prossimo 4 novembre. Un appuntamento contrastato. Da subito i filo-francesi hanno contestato l'ambiguità del quesito, inizialmente limitato alla «piena sovranità», e hanno insistito che sulla scheda comparisse la fatale parola «indipendenza». Una formula esplicita e chiara che nel caso molto probabile di una schiacciante maggioranza di no prevista attorno al 60 per vento segnerebbe il trionfo dei lealisti e l'umiliazione definitiva degli indipendentisti. Ma voler stravincere può essere pericoloso. Per i delicati equilibri locali si tratterebbe di una forzatura che potrebbe riaccendere tensioni e violenze e riportare l'arcipelago al clima infuocato degli anni Ottanta. Da qui l'intervento del primo ministro Edouard Philippe che ha convocato nella capitale i rappresentanti dei due fronti convincendoli ad accettare lo scorso 27 marzo una formula di compromesso: «Volete che la Nuova Caledonia acceda alla piena sovranità e diventi indipendente?».

Philippe sa bene che i problemi non sono finiti ed ha assicurato misure drastiche per mantenere la pace sull'arcipelago. Vedremo. Per il momento su «le Caillou» tutti attendono la visita di Macron. Il presidente arriverà il 5 maggio per ricordare l'accordo di Noumea.

Quale sarà il suo atteggiamento? Auspicherà, come fecero Rocard, Chirac e Sarkozy, che la Nuova Caledonia rimanga legata alla Francia? L'uomo è imprevedibile e nessuno azzarda previsioni. Di certo, oggi il Pacifico è un po' meno pacifico.

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