Simone Mercurio
Questa sera Brian Wilson planerà dalle 21, nella Cavea del Parco della Musica, con il suo atteso progetto Smile. Arriva per la prima volta a Roma il deus ex machina, la mente, lanima delle intramontabili sonorità estive californiane anni 60 dei Beach Boys. Quelli di Good Vibration, Barbara Ann, I Get Around ed altri indimenticati successi. Si dice spesso che non si può separare la storia di unopera da quella del suo autore. Niente di più vero, soprattutto se parliamo di Brian Wilson e di Smile. Un capolavoro fuori dal tempo, che trovò allora sulla sua strada ostacolo involontario nei Beatles, ma che oggi consacra finalmente Wilson come uno dei maggiori compositori della nostra epoca.
Nel 1966 in Brian Wilson affiorano le prime idee per Smile (ripubblicato nel 2004 dalla Nonesuch/Warner). Wilson era reduce dal recente successo di Pet Sounds ottenuto insieme con i suoi Beach Boys. Eppure, durante la lavorazione di questultimo disco si stavano accentuando i segnali di un grave squilibrio, dovuto principalmente allabuso di droghe e allidea maniacale di raggiungere la perfezione in ambito artistico. Smile era un progetto solista extra Beach Boys e avrebbe dovuto essere qualcosa di nuovo ed ancora «più perfetto», oltre che una risposta allincipiente predominio della musica inglese e in particolare dei Beatles.
Nel frattempo con i Beach Boys pubblicava il singolo Good Vibrations, un frammento in grado di far comprendere anche da solo la portata del genio visionario del suo autore, definito da Leonard Bernstein «uno dei più grandi compositori del Novecento». Trentasette anni dopo, nel 2003, Brian Wilson si è convinto a riprendere in mano quel progetto e a portarlo a termine.
«Una sinfonia giovanile dedicata a Dio», così Wilson definisce oggi Smile. Unopera gioiosa e fondamentale. Questa di Brian Wilson non può più essere soltanto un opera rock, ma la summa creativa di un artista pienamente maturo e consapevole del proprio genio. Che si conferma assoluto, al di sopra delle più comuni e banali categorizzazioni che ci si ingegna a coniare per questa o quella particolare accezione e interpretazione della voce «pop music».
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