Claudia Passa
da Roma
Dicembre 1988. Vaticano, sala delle udienze. Lalto emissario del governo bulgaro si avvicina a Giovanni Paolo II. Gesticola, lo spinge in un angolo. Vuole parlargli, da solo. Peter Mladenov, allepoca ministro degli Esteri, futuro capo di Stato, vuol convincere il Pontefice che il suo Paese con lattentato in piazza San Pietro non ha nulla a che fare. Parla fitto, quasi bisbiglia. Anni dopo, raccontando di quel colloquio, Mladenov lascia intendere che Papa Wojtyla fosse daccordo con lui. Di più: discettando sugli spari di Ali Agca chiama in causa la Cia e la teoria del «complotto» internazionale.
Mladenov è morto. Giovanni Paolo II non cè più. Ma quel giorno con loro cera un «terzo incomodo», un monsignore di Sofia che dopo ludienza ha relazionato in due rapporti top secret la sua verità. È larchimandrita Giorgio Eldarov, oggi a capo della fondazione Abagar. Il prelato è anche reduce dallappassionante lettura del dossier che i Servizi segreti bulgari avevano collazionato su di lui, e che una «gola profonda» - previa «scrematura» - gli ha fatto avere.
Parliamo dellincontro fra il Papa e Mladenov.
«Eravamo alla fine degli anni 80, nellepoca della glasnost. Durante unudienza, Mladenov spinse Giovanni Paolo II in un angolo, lo isolò col corpo. Quando fu certo di non essere ascoltato, cercò di convincerlo, con tono insinuante, che i bulgari con lattentato non centravano nulla. Io facevo da interprete. Anni dopo, Mladenov ha esternato la sua versione dei fatti, dando a intendere che il Papa fosse daccordo con lui sullestraneità dei bulgari nellattentato. Tantè che ancora oggi le sue parole sono rimaste uno dei capisaldi della tesi assolutoria nei confronti di Sofia».
Davvero Giovanni Paolo II si disse daccordo con Mladenov?
«Su quellincontro in Vaticano io relazionai a chi di dovere, alle autorità preposte. Il contenuto di quella conversazione morirà con me. Ma vi dico che le cose sono andate diversamente. Ciò che ha affermato Mladenov non è vero».
Monsignore, quando hanno iniziato a spiarla?
«La pratica è stata aperta nellaprile 76, ma dalle carte si capisce che mi controllavano già da dieci anni, quando mi occupavo dei connazionali fuggiti allestero. Il monitoraggio è proseguito fino al febbraio 92, diverso tempo dopo la caduta del muro di Berlino. Mi spiavano anche nel 91, quandero incaricato daffari del Vaticano. Alla fine hanno chiuso il dossier, sostenendo che il soggetto (cioè io) ha cambiato il suo atteggiamento ostile alla Bulgaria. In realtà era la Bulgaria che era diventata una democrazia».
Non hanno mai smesso di controllarla?
«Una volta, nel 76, poiché facevo parte di una delegazione vaticana in visita in Bulgaria. Per come si erano messe le cose, il regime avrebbe dovuto arrestarmi, ma viste le circostanze non hanno potuto farlo. Era la prima volta che rientravo nel mio Paese dopo lapertura del dossier. Non potevo avere contatti con nessuno fuori dalla delegazione, non ho potuto incontrare nemmeno i miei familiari. Solo mio fratello e i suoi figli si sono arrischiati a prendere un cognac sulla porta di un ristorante dove pranzavo».
Non si è mai accorto che la controllavano?
«Avevo avuto qualche soffiata, dicevano che il fascicolo era voluminoso e infame. Anni dopo, quando una talpa me lha consegnato, era stato ripulito. Sono rimaste un centinaio di pagine, ma si capisce che cè altro. Mi hanno fatto avere solo rapporti con agenti chiamati in codice, ma da oltre cinquantanni annoto in un diario tutti i miei incontri, così ho individuato quasi tutte le spie. Cerano anche due ecclesiastici. Ma nessuno mi ha calunniato o cercato di compromettermi. Comunque ero fra i 250 bulgari allestero con cui erano vietati contatti non autorizzati. Temevano che potessero circolare notizie sulle vittime cattoliche del regime, sulle discriminazioni».
Parliamo dellattentato a Giovanni Paolo II e della pista bulgara. Allepoca i Servizi dellEst hanno provato a comprometterla?
«Certo. Ho scoperto ad esempio che due persone che mi frequentavano, scomparse allimprovviso, erano imparentate con Antonov. Poi, quando lui era stato arrestato, hanno tentato di coinvolgermi sostenendo che io fossi andato a visitarlo; addirittura nel mio dossier hanno infilato una fotografia... Io invece non sapevo neppure dove si trovasse. Al massimo sarò capitato da quelle parti per comprare un biglietto aereo!».
Lei cosa pensa della pista bulgara? E i bulgari, che cosa ne pensano?
«Io ipotizzerei un coinvolgimento dellUnione sovietica nellattentato... Quanto ai bulgari, considerano il solo parlarne unimperdonabile offesa. Non si rendono conto che accusare i Servizi non vuol dire chiamare in causa il popolo, che del regime è stato una vittima. Comunque, al di là delle ipotesi, una cosa certa è la stupidità delle autorità bulgare di allora, che per allontanare i sospetti (a torto o a ragione) sono state coinvolte nei depistaggi sulle indagini. Ma di coinvolgimenti nellattentato i bulgari non vogliono sentir parlare. Un esempio. Per i bulgari perdonare significa dare e ricevere perdono contemporaneamente.
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