Woody Allen dissacra la Parigi degli artisti

Il Festival si apre con un film sottile sugli stereotipi che trasformano la cultura in cartolina nostalgica. Nella capitale francese, i protagonisti s'incontrano con le anime di Hemingway e Picasso

Woody Allen dissacra  la Parigi degli artisti

Cannes - C’è sempre un’età d’oro della vita e nessuno o quasi è mai contento di quella che ha avuto in sorte. E troverai sempre qualcuno pronto a dirti che anche tu eri meglio prima che non adesso, sei invecchiato male, ti sei inaridito e vuoi mettere con quello che hai già fatto?... Intorno a questa insoddisfazione, così umana e insieme troppo umana, comica se non fosse tragica, Woody Allen ha costruito Midnight in Paris che, fuori concorso, ha inaugurato ieri la 64° edizione del Festival di Cannes.
C’è chi ovviamente dirà che non è il miglior Allen, ovvero l'Allen di ieri e, insomma, l'Allen di un'età dell'oro che spesso e volentieri coincide con quella di chi poi, appunto, lo criticherà... E in fondo, il senso del film è proprio questo: c'è più sterilità nella nostalgia che mancanza di coraggio nell'accettare ciò che il destino ha deciso per noi.
«Io non mi considero un artista. Ci sono certo dei registi che reputo tali, Bunuel, Fellini, per esempio: io sono soltanto uno che cerca di fare dei buoni film. Avevo questa storia fra le mani, c'era questa città che per il tipo di americano che io sono, newyorkese, con una passione per l'Europa, è sempre stata un sogno e un richiamo. Ho messo insieme le due cose e questo è il risultato».
Midnight in Paris parte con uno strepitoso brano musicale di Sidney Bechet e poi dà largo spazio alle musiche altrettanto strepitose di Cole Porter e si capisce subito che Allen è nel suo elemento, il passato che ci strizza l'occhio e se vogliamo può essere nostro complice più che nostro nemico.
C’è una giovane coppia in procinto di sposarsi: lui, Gil (Owen Wilson), fa lo sceneggiatore, guadagna bene, ma vorrebbe essere uno scrittore vero; lei, Inez (Rachel Mc Adams), è una ragazza pratica, di quelle che in casa portano i pantaloni, hanno madri ingombranti e padri dediti al business...
Che non possa funzionare, dall'esterno tutti sono in grado di vederlo, ma l'amore ha questo di curioso, che fin quando dura nasconde le differenze...
A Gil ciò che non va glielo svelerà Ernest Hemingway ed è questo il primo tocco di bacchetta magica, perché a mezzanotte, come in ogni fiaba che si rispetti, Gil piomba nell'epoca in cui avrebbe voluto vivere: la Parigi fra le due guerre, l'età della «generazione perduta» di Gertrude Stein, del jazz e dei balletti russi, del surrealismo, di Jean Cocteau e di Picasso...
Non è la prima volta che Allen mischia vivi e morti, con i secondi a dare consigli e indicazioni: da Provaci ancora Sam a Annie Hall c'è sempre un amato fantasma che arriva a rimetterci in carreggiata. Qui c'è anche il gioco opposto. Proprio perché Gil è piombato dal futuro nel passato, può rassicurare Zelda Fitgerald che in fondo Francis Scott ha amato sempre e soltanto lui e indicare a Bunuel la trama e il senso vero dell'Angelo sterminatore: quel gruppo di borghesi che bloccati in un luogo chiuso vedono la loro bestialità prendere il sopravvento. «Un giorno, mentre vi starete facendo la barba, troverete l'idea seducente», dice al giovane regista ancora in cerca di se stesso...
Al cliché della Parigi da cartolina turistica, Allen oppone un'altra Parigi da amanti della letteratura, altrettanto stereotipata e quindi sublimamente ridicola. I personaggi del passato ritratti soltanto attraverso le loro frasi più famose, strappano una risata: Hemingway che parla solo di coraggio di fronte alla morte e di onestà di fronte alla scrittura, Picasso con la sua ossessione delle donne, Man Ray con la sua ossessione per il surrealismo... Non ce ne accorgiamo, sembra dirci, ma ne abbiamo fatto delle statuine, mentre la vita, la loro, la nostra, quella di ieri, di oggi e di sempre, è altrove ed è per questo che merita di essere vissuta.
Ciò che fa di Midnight in Paris un film toccato dalla grazia è la delicatezza con cui il regista racconta tutto questo: il tono leggero con cui si diverte a mischiare i ruoli, invertite le situazioni, far esplodere le contraddizioni. «Ho scelto Owen Wilson perché nessuno potrebbe pensare a lui come un mio alter ego: è alto, è biondo, è bello, è un seduttore... E però, naturalmente, mi somiglia: gli ho dato il mio modo di muoversi, di parlare e anche molto delle mie idee. Mi attrae il passato ma continuo a operare nel presente. Quanto a Carla Bruni, sa che cos’è il mondo del cinema, la sua presenza buca lo schermo, lavorare con lei è stato un piacere».
Dopo Londra, Barcellona, e Parigi, Allen girerà a Roma.

Bop Decameron dovrebbe chiamarsi il film, un richiamo al jazz e al Dedamerone70 felliniano più che al capolavoro di Boccaccio. Qui un cameo lo farà Roberto Benigni ed è chiaro che fra lui e la prèmiere dame di Francia non c’è partita. Vince lei.

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