(...) dell'assessore, trascorrendo alcune ore nei giardini della piazza più bella di corso Italia. I commenti finali li lasciamo a chi legge.
Ore 16.45, nel piazzale dei giochi sono presenti una trentina di bambini, al loro seguito le nonne, le mamme o le tate, basta addentrarsi più all'interno per capire, però, che qualcosa non va, l'aria è troppo tesa e le urla di gioia e divertimento ludico si sovrappongono a quelle di rabbia. Le panchine sono per la maggior parte occupate da nomadi, incuranti del parco e liberi di lordarlo il più possibile, con carta, sacchetti e rifiuti di ogni genere. Le poche persone in piedi sono i genitori dei pochi bimbi genovesi; sì, perché anche tra loro prevalgono i figli dei nomadi, anche loro bimbi e quindi «innocenti», ma pur sempre prepotenti e maleducati: c'è chi prende una bicicletta appoggiata, non sua, e scappa prima di essere raggiunto dalla nonna del piccolo derubato, c'è chi, più grandicello, cerca lite con un pari età per contendergli la fidanzata. E c'è chi, per non fare la coda allo scivolo o sull'altalena, sputa a destra e a manca con il risultato, sudicio ma efficace, di fare scappare i piccoli coetanei, quelli educati e in coda.
Ore 18, scemano gli schiamazzi e la piazza comincia a svuotarsi, rimangono solo loro, una ventina di adulti e una dozzina di bambini. Adesso sono completamente padroni della piazza e quando si contano dieci zingari sotto gli alberi con tanto di tavolo, sedie, vino e musica tzigana; quando più avanti, davanti a otto auto di lusso (Mercedes, Audi, Volvo, Peugeout station wagon e Saab) discutono una ventina di capi famiglia, mentre qualche donna allatta; quando una decina di panchine sono occupate da giovani rom che amoreggiano con la radio a tutto volume, l'orologio segna le 19,15. In piazza siamo rimasti noi e loro, che si accorgono subito della nostra estranea e indesiderata presenza e prima che il brusio e gli sguardi di traverso diventino pericolosi, decidiamo di passeggiare sotto i portici, dove tra negozi e gente che rientra a casa, ci sentiamo più al sicuro.
Ma anche la sotto si capisce che tira aria brutta, molto pesante. Proviamo a fermare qualche abitante della zona che frettolosamente scende dall'auto appena parcheggiata e s'infila nel portone, ma nessuno si fida e nessuno si ferma. Anzi, accelera il passo e si chiude il portone alle spalle. Non ci resta che parlare coi commercianti e le loro rivelazioni sono drammatiche ed eloquenti: sono tutti concordi nel confermare che gli zingari hanno sconvolto la vita degli abitanti della zona, compresa la loro. Ecco alcune significative dichiarazioni: «Quando entrano loro la gente esce, non si lavano e lasciano un cattivo odore», «Siamo già venuti alle mani, ma non riesco a mandarli via», «Ho provato ad aumentare i prezzi per scoraggiarli, ma a loro i soldi non mancano», «Tutti i negozi della zona hanno subito, negli ultimi tempi, furti con scasso», «Chiamiamo la polizia, i carabinieri e i vigili urbani, ma ci prendono in giro: giocano a scarica barile e non si vede nessuno».
Ore 20.30, dopo cinque ore trascorse in piazza Rossetti, ci viene da pensare che, a quelle condizioni, non vorremmo mai abitare là, a due passi dal mare. E, mentre ci allontaniamo, tre zingari entrano nella sala scommesse dei cavalli, altre cinque nomadi si sono sedute al tavolo fuori del bar e sorseggiano un aperitivo, una decina fa rombare i motori per vedere qual è il più potente. Ansiosi di abbandonare quello che sembra un quartiere dei vicoli, pensiamo anche a Bruno e Claudia, due nostri lettori che con una dettagliata e-mail spedita al nostro giornale alcune ore prima, la pensano esattamente come noi ma con una differenza: noi saliamo in macchina e andiamo via, per loro e per i piccoli figli, rei di essere puliti ed educati, domani inizia un altro giorno da incubo.
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