Ce n’è voluto di tempo. Un’infamia lunga quattordici anni. Un’accusa odiosa, quella di aver violentato la nipote, che cade definitivamente e si ritorce contro la ragazza che l’aveva denunciato. Lei, che ora ha 32 anni, si trova imputata per calunnia aggravata, dopo aver raccontato ai magistrati che lo zio l’aveva stuprata e seviziata. Tutto falso.
Per Salvatore, che a maggio farà 70 anni, è la fine di un incubo iniziato nel 1996. Quando la nipote Daniela, all’epoca 18enne, aveva detto ai pm di essere stata violentata più volte dallo zio, fin da quando di anni ne aveva 10. Una testimonianza piena di dettagli raccapriccianti, ribaditi anche a processo, secondo cui l’uomo le avrebbe spento delle sigarette sulle braccia e sulle gambe, tagliata con un coltellino, picchiata con una cinghia, e rinchiusa in un appartamento per farle «incontrare» altri uomini. Ancora, Daniela aveva aggiunto che in più occasioni era stata «rapita» dallo zio, e portata via dal cortile dove giocava con i suoi amici, costretta a seguirlo e violentata. Con queste accuse, pesantissime, l’uomo era stato rinviato a giudizio, e costretto a un lungo processo.
Solo per il primo grado, infatti, ci sono voluti cinque anni. Un tempo eterno durante il quale l’uomo ha convissuto con i fantasmi di una giustizia che tardava ad arrivare. Cinque anni per sole 18 udienze. Al termine delle quali, però, Salvatore è stato assolto. È il 29 aprile 2004. Nel dicembre successivo, la sentenza è diventata definitiva. Nei confronti di Daniela, perà, i giudici non hanno preso alcun provvedimento. Nonostante fosse evidente che se lo zio era innocente, allora la nipote aveva mentito. Eppure, sono passati altri sei anni, prima che la ragazza fosse chiamata a rispondere delle false accuse. Solo da ieri, infatti, la nipote deve rispondere di calunnia aggravata. L’imputazione coatta è stata disposta dal gip Guidio Salvini, che - ritenendo fondata la contro-denuncia dell’uomo presentata nel 2005 - ha rigettato la richiesta di archiviazione formulata dalla procura. Sottolinando le proprie «perplessità» su una vicenda giudiziaria che - scrive il gip nel provvedimento - è stata «fonte di sicura sofferenza» per Salvatore. Il giudice Salvini, infatti, si dice meravigliato che l’inchiesta per calunnia a carico della nipote non sia stata ordinata dallo stesso tribunale in occasione dell’assoluzione dell’imputato, né sia stata avviata per iniziativa personale dal pm. E sì che i segnali, a detta del gip, erano chiari.
L’inchiesta, infatti, si era conclusa con una richiesta di custodia cautelare in carcere per l’indagato che il gip dell’epoca aveva «prudentemente rigettato». Poi, durante il processo, la nipote aveva «via via aggravato le accuse nei confronti dello zio». Accuse, però, che erano cadute in una serie di contraddizioni al punto che i giudici avevano assolto l’imputato, affermando «l’inattendibilità e l’illogicità di quanto raccontato dalla vittima». Per Salvini, «il motivo di tale anomalo comportamento» non è ancora chiaro. Ma, ripercorrendo la vicenda, il gip afferma che «forse» il tribunale «non aveva trasmesso copia degli atti alla Procura perché si procedesse nei confronti della» nipote «per il reato di calunnia aggravata», perché aspettava che la sentenza divenisse definitiva.
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