Cronaca giudiziaria

Ingiusta detenzione, 30mila casi e una sola toga paga

La pecora nera è una Gip di Salerno. Il nodo sono le Corti d’appello che non inviano gli atti ai giudici contabili

Ingiusta detenzione, 30mila casi e una sola toga paga

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Sapete quanti magistrati, dal 1992 a oggi, hanno pagato per danno erariale? Uno. Sì, avete letto bene: uno su 30mila casi di ingiusta detenzione. E non parliamo di sanzioni disciplinari (ché quella è una chimera ancora più difficile da raggiungere) ma del classico errore commesso da un dipendente pubblico. Già, perché spesso lo si dimentica, ma le toghe sono dipendenti pubblici, con la differenza che sono gli unici a non rispondere di danno erariale. A parte Giuseppina Alfinito, giudice del tribunale di Salerno, rea - in base a quanto recita l’atto di citazione datato 2015 della procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Campania - di «aver disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari senza la richiesta del Pubblico Ministero e perciò integrando anche il reato di sequestro di persona, atteso che la privazione della libertà personale è avvenuta senza la esistenza dei presupposti di legge».

Nella tragicommedia all’italiana, il tribunale contabile aveva chiamato in causa anche il pm che però è riuscito a cavarsela perché «quando la misura cautelare gli è stata portata per la esecuzione non aveva il relativo fascicolo, trattenuto dal Gip per gli adempimenti successivi». E così, nella sentenza numero 24 del 2018 a essere condannata per quella «grave e imperdonabile svista» è stata solo il Gip Alfinito.

Condanna costatale il pagamento di 10.425,68 euro in favore del ministero della Giustizia. Briciole se paragonate al miliardo che lo Stato, ovvero noi contribuenti, ha sborsato per indennizzare le 30.689 vittime di malagiustizia in 30 anni. Ma com’è possibile che in tutto questo tempo ci sia stata soltanto una «pecora nera», un paradossale unicum, su una mole di errori giudiziari e ingiuste detenzioni? In parte lo ha spiegato la Corte dei Conti che in una relazione del 2021 ha acceso i riflettori sulla mancanza delle azioni di rivalsa dello Stato nei confronti dei magistrati che sbagliano.

E ciò avviene perché il tribunale contabile non riceve gli atti fondamentali per poter aprire un’istruttoria. Il motivo? La Corte d’Appello, unica deputata del settore giudiziario a poterlo fare, non li invia. Per consuetudine e, soprattutto, per corporativismo. L’iniziativa rimane dunque a rarissimo appannaggio di temerari avvocati o giudici ostinati. E quindi? Stallo alla messicana.

Per ovviare al problema, secondo Riccardo Radi, avvocato e co-fondatore del blog Terzultima Fermata, «quando il Mef, delegato a effettuare gli indennizzi, ne paga uno, si potrebbe fare in modo che mandi subito la nota con tutti gli atti alla procura della Corte dei Conti invitandola a valutare se sussiste o meno un danno erariale».

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