Cronaca internazionale

Fetish e Wet Market: così il voo doo africano prepara "bombe epidemiche"

In gran parte dell'Africa prosperano mercati legati al voo doo. Tra animali in vendita, strane bambole e pipistrelli da mangiare il rischio di nuove malattie resta alto

foto di Alexander Sarlay
foto di Alexander Sarlay

Vuoi acquistare una bambola voo doo? Oppure no, troppo commerciale e scontata: facciamo una testa di cane imbalsamata, pelle di serpente o il bat salted, il pipistrello aperto e salato? Ecco, all’Akodessewa Fetish Market di Lomé, capitale del Togo puoi trovare tutto questo e di più.

Sembrerebbe il ricettario di una strega, introvabile manco a Benevento, la Salem Italiana, il più grande centro di stregoneria dell’Europa rinascimentale. Prodotti degni di una pozione stregonesca, freschi per giunta, perché provenienti dalle selve incontaminate del Togo, il piccolo stato africano sull’Atlantico terra d’origine del voo doo. No, lasciate perdere i Caraibi. Il voo doo vero era (ed è tutt’ora) toghese. Furono gli africani venduti come schiavi dalle tribù locali agli europei ad esportare quei riti magici ancestrali al di là dell’oceano, finendo per fondersi e confondersi con la religione cristiana dei coloni francesi e spagnoli.

Il mercato di Akodessewa è aperto e accessibile. E non è l’unico: mercati simili si trovano anche in altre località del Togo. Se capitate nel week-end a Vogan potreste visitare il grande Vogan Friday Market, pochi chilometri nell’entroterra. Se invece gradite qualcosa di più “leggero” e magari restando nella capitale Lomé, il Gran Marchant può fare al caso vostro. Ah, occhio perché leggero non significa certo meno fornito di animali, vivi e morti. Magari più commerciale, visto il via vai di turisti occidentali.

Merci a parte, tutti questi mercati si reggono su un delicato equilibrio fra il legame stretto all’identità dei singoli popoli ed etnie ed il pericolo di diventare bombe epidemiche. Le merci voo doo, specie quelle di origine animale, sono disposte sui banchi o a terra, macellate ed essiccate o vendute intere con ancora l’occhio dell’animale che ti guarda. E che non può avvisarti del rischio di contrarre qualche pericolosa malattia, toccandolo o consumandolo come pozione o come cibo.

In un rapporto pubblicato nel 2014, infatti, l’Unicef inseriva il Togo e gli stati confinanti Ghana, Benin e Burkina Faso in una lista di 13 paesi a rischio diffusione ebola, dove casi erano già allora registrati dalle autorità sanitarie per poi diffondersi, in modo esplosivo, più a sud, nel Congo, nel corso dell’epidemia 2018-2018. Vettori di trasmissione del virus quegli stessi animali in vendita al Fetish Market, in particolare i pipistrelli che, per quanto innocui e discreti, sono involontari portatori di malattie. E, oltre ad essere salati per la magia voo doo, finiscono ancor oggi sulla tavola di milioni di africani.

Sarebbero infatti cinquantuno le specie di chirottero cacciate a scopo alimentare nel Continente Nero, da aggiungersi ad altre specie di bush-meat (selvaggina) che garantisce un apporto nutrizionale in Paesi in cui la carne non possono permettersela tutti. Una risorsa a portata di mano, dunque, che garantisce la sopravvivenza di interi nuclei familiari e che forse, proprio per questa sua importanza, è stata associata alla magia dalle ancestrali tradizioni africane.

In Africa equatoriale la trasmissione di malattie da cibo animale o per le cattive condizioni igieniche dei mercati di strada è un problema diffuso e purtroppo non sradicabile: la cultura locale si mescola alla povertà e ad abitudini che neanche la diffusione medico-scientifica è riuscita a scalfire. La “tigre asiatica” ad esempio, fra i paesi più avanzati e più ricchi al mondo, conserva nelle sue tradizioni credenze taumaturgiche circa parti anatomiche di animali rari che, causa anche le richieste della medicina cinese, si avvicinano sempre più al rischio di estinzione.

Inoltre, in città ipertecnologiche, capitali del progresso, carne e prodotti freschi continuano ad essere venduti senza alcun accorgimento sanitario. Wuhan, da dove partì la pandemia Covid-19, ha ancora attivo il suo wet market (mercato umido) con centinaia di specie ammassate, tenute in vita per essere ispezionate dai potenziali clienti ed in condizioni igieniche assolutamente precarie. Ratti, pipistrelli, insetti, cani, gatti, serpenti, pangolini, pesci di mare e d’acqua dolce coperti di mosche, toccati senza guanti, privi di una barriera di vetro o plexiglas che salvaguardi le carni dal contatto fisico e da tosse e starnuti. I wet market sono presenti anche nel resto del sud-est asiatico, in condizioni forse ancora peggiori di quelli cinesi.

La questione non è l’appetibilità di certi alimenti. Per un africano, un piatto di crostacei potrebbe apparire orrendo quanto a noi una zuppa di paniki (pipistrello, in Polinesia). Orribile per orribile, sembra che in tempi passati in alcune zone del Nord Italia il consumo di nottole fosse diffuso. De gustibus (o sopravvivenza). Il problema vero e proprio sta quando un mondo, fermamente chiuso nelle sue credenze e convinzioni, non vuole accettare che il danno che crea a se stesso, alla sua salute e alla sua fauna può ricadere su altri popoli. Covid docet.

Il voo doo ed altre “religioni” ancestrali sono interessanti sotto il profilo teologico ed antropologico, ma vanno limitare e circoscritte quando possono nuocere alla salute delle persone.

In Mauritania, unico paese al mondo in cui la schiavitù ha una sua legittimità, le tombe degli albini sono cementate per paura delle profanazioni: gli africani di pigmentazione bianca avrebbero doti taumaturgiche ed afrodisiache.

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