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L'aumento al rettore non è uno scandalo. Lo scandalo è il resto

Il rettore dell'università "Aldo Moro" di Bari, Stefano Bronzini, ha chiesto per sé un aumento dell'indennità di funzione del 128%, passando dagli attuali 71.856 a 160.000 annuali

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Il rettore dell'università «Aldo Moro» di Bari, Stefano Bronzini (nella foto), ha chiesto per sé un aumento dell'indennità di funzione del 128%, passando dagli attuali 71.856 a 160.000 annuali. Il Consiglio d'Amministrazione ha approvato la richiesta che ora dovrà essere definitivamente avallata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze. La richiesta del rettore è prevista da una legge del 2022 approvata dall'allora Presidente del Consiglio Mario Draghi. Le polemiche stanno crescendo in modo vertiginoso; il sindacato Cgl è andato su tutte le furie parlando di azione «totalmente fuori da ogni contesto sociale, politico ed economico di quel che vive il Paese», soprattutto considerando la presenza nelle università italiane di «sacche di precariato e inquadramenti contrattuali molto poveri».

Questa seconda parte della dichiarazione sindacale è purtroppo drammaticamente vera, ma, in realtà, spiega anche la richiesta del rettore Bronzino, il quale dettaglia così le sue enormi responsabilità: «Io metto la firma su svariati milioni di euro; una responsabilità che si estende a tutto il personale, circa 3000 persone, a 42.000 studenti,

a 700.000 metri quadri di strutture, di cui 600.000 coperti».

Il rettore ha fatto bene a dilungarsi con questo elenco, che, conoscendo l'università, non è neppure completo: ha fatto bene perché dà un'idea di quale colossale struttura imprenditoriale sia un'università e delle responsabilità penali a cui si va incontro nella gestione.

Tanto scandalo la richiesta del rettore? Chiediamoci, allora, quanto sia enormemente più alto lo stipendio di un dirigente apicale di una impresa privata di proporzioni analoghe all'università di Bari. Senza troppo cavillare, lo stipendio del rettore è molto più basso. Il motivo? Purtroppo non è una novità. La scuola è la cenerentola economica italiana, pur essendo chiaro a tutti il valore dell'istruzione, da quella delle elementari a quella universitaria. Ma ai docenti di ogni ordine e grado non viene dato il giusto trattamento economico. Si evoca l'Europa come riferimento di un'organizzazione moderna della società: ma se si guarda lo stipendio di un insegnante tedesco, ci si accorgerà che è il triplo rispetto a quello di un italiano. Non mi si dica che il docente tedesco lavora di più rispetto al nostro: è falso. Semmai lavora meglio, anzi, molto meglio perché ha strutture adeguate alle necessità moderne dell'insegnamento.

Arriviamo adesso alla prima parte della dichiarazione sindacale che contestava la decisione del rettore Bronzini: non ce la passiamo bene - dice in sintesi - perché se la dovrebbe passare bene il rettore? È proprio questo il punto: per farci star bene c'è bisogno di studio e di ricerca, che arrivano dalla scuola e dall'università. Certo, ci sono insegnanti e dirigenti lavativi, ma in prevalenza sono emozionanti per la loro dedizione al lavoro: mortificarti significa accettare l'arretramento del Paese.

Poi ci sarebbe l'argomento risolutivo: le università dovrebbero avere un'autonomia finanziaria con pagamenti diversi ai docenti in relazione alle loro capacità; università competitive sul piano della qualità della formazione e della ricerca con impegni finanziari ovviamente diversi. Questa sarebbe una vera e bella rivoluzione

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