L'analisi del G

La lunga retromarcia dell'uomo del futuro. La popolazione globale verso la decrescita

I cinesi si dimezzeranno. L'India perderà un quinto degli abitanti. Il calo demografico previsto per la metà del secolo è una mina per l'economia e per i consumi. Il ruolo dell'Intelligenza artificiale

La lunga retromarcia dell'uomo del futuro. La popolazione globale verso la decrescita

Sono passati quarant'anni dall'uscita di Terminator, film che narrava la ribellione delle macchine all'essere umano per mano della rete d'intelligenza artificiale Skynet. Tre lustri più tardi è arrivato Matrix, pellicola post apocalittica dove le macchine dominano il mondo e usano gli esseri umani come batterie. Sono solo due esempi, in realtà, della ricca narrativa del genere, ma che sono indicativi di quanto il timore verso macchine che diventano intelligenti a tal punto da sfuggire al nostro controllo sia radicato nell'immaginario umano. L'arrivo di ChatGPT e competitor vari, capaci di intelligenza generativa, materializzano fantasmi e dilemmi etici prima relegati al cassetto della fantascienza. Ma se questa minaccia, ammesso che lo sia, fosse anche la soluzione per risolvere un altro possibile pericolo? Secondo dati pubblicati dalla rivista The Lancet, tra le più autorevoli in ambito scientifico, entro la metà di questo secolo la popolazione mondiale inizierà a diminuire. Secondo i trend attuali, che in demografia sono difficili da invertire se non nel medio-lungo periodo, i cinesi alla fine di questo secolo saranno la metà rispetto a oggi: 732 milioni. E così i giapponesi, che caleranno a 60 milioni. I russi si ridurranno del 30%, gli indiani del 21%, pur rimanendo la nazione più popolosa del mondo. Molto probabilmente si dimezzeranno (o quasi) gli abitanti di Italia, Corea del Sud, Polonia, Spagna. Saranno pochissime le eccezioni, tra cui la più rilevante è la Nigeria che vedrà quasi triplicare i suoi abitanti a quota 800 milioni.

Peraltro, sono tendenze che vediamo nel concreto già oggi: la Cina, infatti, nel 2022 ha subito il primo calo della popolazione dopo 60 anni. Saldo negativo che si è replicato anche nel 2023, con oltre 2 milioni di persone in meno. Non sono bastati, quindi, l'abbandono della politica del figlio unico, né gli incentivi per stimolare le nascite. Il Giappone è già ora il Paese più vecchio del mondo, mentre in Corea del Sud la terza economia asiatica nel 2023 il numero di nuovi nati è sceso al minimo storico. Negli ultimi 15 anni, ha affermato di recente il presidente Yoon Suk Yeol, sono stati spesi più di 210 miliardi di dollari in politiche per incrementare il tasso di natalità del Paese senza tuttavia avere incassato risultati accettabili. E l'Italia? Il nostro Paese ha un tasso di fertilità di 1,25 figli per donna, ben lontano dalla fatidica soglia dei 2,1 figli per donna che garantiscono un pieno ricambio generazionale. Roma, tuttavia, è in ottima compagnia: si stima che tre quarti della popolazione mondiale, entro il 2050, scenderà sotto la soglia necessaria per evitare un calo demografico.

Da un lato, alcuni notano che un calo della popolazione mondiale potrebbe portare in dote l'agognato taglio delle emissioni di CO2. Dall'altra, però, le conseguenze nefaste sull'economia mondiale sarebbero inevitabili. Oggi, infatti, la dimensione globale dei mercati, la disponibilità di una popolazione giovane in molte parti del mondo (e quindi più avvezza a consumare) sta trainando la crescita del Pil e allargando la fetta di popolazione della cosiddetta fascia media, con persone strappate dallo stato di povertà. Ma l'invecchiamento della popolazione potrebbe rompere il circolo virtuoso: l'Ocse stima che entro il 2050 la popolazione over 60 sarà di 2,1 miliardi a livello mondiale. E questo si tradurrà in una riduzione dei consumi, un aumento della spesa pensionistica e sanitaria. Secondo stime della Commissione europea, infatti, le spese per il bilancio pubblico legate all'invecchiamento della popolazione potrebbero arrivare a oltre il 5% del Pil entro il 2040.

Ma a pesare più di tutto sarà la carenza di forza lavoro. Già si sente per le professioni più specializzate, ma non solo. Tant'è che in Italia malgrado un tasso di disoccupazione intorno al 7% - si fatica a trovare la figura richiesta nella metà dei casi. Va da sé che, a fronte di un calo demografico, la situazione non potrà che aggravarsi. E allora la chiave qual è? Un aumento della produttività del lavoro può controbilanciare almeno in parte il fenomeno. E per l'Italia l'intelligenza artificiale generativa può essere un'occasione: almeno, questo è quanto sostiene Microsoft. La casa americana non si può considerare al di sopra delle parti, avendo investito oltre 10 miliardi di dollari in OpenAi (la casa che ha inventato ChatGpt). Ma certo fornisce una chiave di lettura alternativa, che è da tenere in considerazione: in un report presentato al Forum Ambrosetti di Cernobbio, infatti, sostiene che grazie all'Intelligenza artificiale generativa il Sistema-Italia potrebbe aumentare fino al 18% la sua produttività e può generare, a parità di ore lavorate, fino a 312 miliardi di euro di valore aggiunto annuo. L'IA Generativa continua Microsoft libererà un totale di 5,4 miliardi di ore che corrispondono, in concreto, alle ore lavorate in un anno da 3,2 milioni di persone.

Ma, quindi, è pensabile che le macchine sostituiranno in toto i lavoratori umani? Per ora sembrerebbe di no, secondo uno studio condotto alcuni mesi fa dalla casa di consulenza EY e da Manpower Group la domanda di lavoro in Italia rimarrà in generale crescita per il resto del decennio e non ci sarà un effetto di sostituzione. Anche se la domanda sarà più concentrata su profili a qualifica alta o molto alta: a causa dell'IA, lo studio rileva che si cercheranno più ingegneri e fisici (+7%), analisti di mercato e psicologi del lavoro e della formazione (+3%) e persone nelle professioni legate a marketing (+5%), direttori amministrazione e finanze e specialisti di organizzazione (+3%).

Insomma, l'Intelligenza artificiale sembra presentare molte opportunità. Eppure, i governi, sia in Europa che in America, stanno ragionando su come governare la nuova rivoluzione industriale. Il Parlamento dell'Unione europea, per esempio, ha votato di recente il cosiddetto IA Act, la prima normativa a livello mondiale sul tema. Oltre all'enfasi sulla trasparenza, si richiede una valutazione d'impatto delle nuove tecnologie sulla vita delle persone da catalogare in livelli di rischio minimo, limitato, elevato o addirittura inaccettabile. In quest'ultima categoria rientrano le IA manipolatrici, la creazione di database di riconoscimento facciale, la categorizzazione biometrica o sistemi di social scoring. Tutte cose che, ancora una volta, risvegliano la memoria cinematografica. Gli Stessi Usa obbligano le aziende a fornire al governo dettagli su qualsiasi modello di IA addestrato con una potenza di calcolo superiore a determinate soglie. Insomma, l'attenzione sembra esserci.

È da vedere, poi, se saremo così bravi da evitare un futuro post apocalittico.

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