Terrorismo

Attentato a Mosca e galassia ultranazionalista: perché Putin insiste sulla pista ucraina

La Camelot ultranazionalista russa starebbe esercitando fortissimi pressioni sul presidente Putin per sostenere la tesi della pista ucraina. Primo fra tutti Nikolaj Patrushev, aka il "siloviko d'acciaio"

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A meno di una settimana dall'attentato alla Crocus City Hall di Mosca, la narrazione del Cremlino sembra procedere attraverso continui stop and go. Se, a caldo, Vladimir Putin non aveva minimamente contemplato la pista Isis, puntando immediatamente il dito contro Kiev, nelle ultime ore ha virato verso l'accettazione della pista islamista, pur conservando l'ipotesi del mandante ucraino con il supporto di Stati Uniti e Regno Unito.

Islamisti coin mandante ucraino: la tesi del Cremlino

"Il presidente Putin crede che gli assalitori della sala da concerti Crocus siano islamisti radicali. Ma dubita che dietro di loro ci sia l'Is, per la singolarità di un attacco durante il ramadan. Però non ha prove per collegare i quattro arrestati poche ore dopo l'attentato in cui hanno perso la vita almeno 139 persone con gli ucraini o gli americani", è questo che Putin avrebbe spiegato in una riunione di governo di alto livello, secondo quanto scrive un'accreditata analista come Tatiana Stanovaya, in un post sul suo canale Telegram.

Una versione dei fatti che non è solo frutto della ricostruzione personale del presidente russo, ma che ora subisce le pressione dell'ala più accesa dei siloviki ultranazionalisti. Fra le eminenze grigie della pista ucraina, infatti, figura Nikolaj Patrushev, l'uomo che ha sotituito Putin al Kgb illo tempore. A lui si deve, infatti, l'affermazione lapidaria di ieri "Certamente, l'Ucraina", che non lascia spazio ad alcuna ipotesi alternativa sui fatti, tantomeno alcun dubbio sulla verità che Mosca vuole difendere. Siloviko d'acciaio, ha servito come Direttore del Servizio di sicurezza federale della Russia.

Nikolaj Patrushev e gli altri

Promosso a segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo nel 2008 dallo stesso Putin, Patrushev per più di due decenni è stato la seconda persona più potente in Russia. Ed è sempre questo pezzo da novanta del cerchio magico putiniano che iniziò a mettere in guardia Putin su Evgenji Prigozhin già durante l'estate 2022. Un dato fra tutti fa comprendere il livello di influenza che quest'ultimo esercita sullo zar: Patrushev è stato indicato più volte come il mandante dell'omicidio di Prigozhin.

L'eventuale svolta politica o ricollocazione del capo della Wagner in altre vesti, aveva infatti caricato l'acrimonia nei suoi confronti da parte della Camelot di Putin. Poi, nel giugno scorso, l'ammutinamento: Putin avrebbe affidato proprio al fido Patrushev la supervisione dei fatti legati alla marcia della Wagner, contesto nel quale sarebbe nato il piano per eliminarlo.

Patrushev e la sua cricca, di cui era parte integrante anche un altro oscuro personaggio come Igor Girkin, erano stati messi nell'angolo nel corso dei mesi, soprattutto dopo la morte di Prigozhin. Le loro tesi da guerrafondai, i loro proclami che inneggiano all’annientamento dell'Ucraina così a destra rispetto a Putin, hanno sempre avuto difficoltà a trovare dimora presso la veste ufficiale del governo russo. Così tanto da non cedere nemmeno alle lusinghe di una candidatura politica.

L'attentato ora offre loro la possibilità di rialzare la testa e vedere avallate le loro dichiarazioni di guerra dopo la tragedia che ha colpito la nazione. Stanno ritrovando voce sui social come negli spazi mediatici tradizionali, e chiedono di trattare Kiev alla stregua dell'Isis o di Al-Qaeda. Accanto agli esponenti "politici", sono usciti dal letargo anche l'ideologo Alexandr Dugin e il suo patron mediatico Konstantin Malofeev, che dalla sua "Fox tv in salsa russa" (Tsargrad) è pronto a scatenare e reggere la guerra mediatica contro Volodimir Zelensky.

L' "imprevisto" Lukashenko

Il pressing di Patrushev e la narrazione dello zar, però, ora sono costrette ad affrontare un ulteriore ostacolo, per paradosso proveniente da un accolito dello zar come Alexandr Lukashenko: quest'ultimo ha, infatti, dichiarato che i sospetti autori della strage alla sala concerti, come prima opzione, hanno tentato di fuggire in Bielorussia, ma hanno desistito a causa delle misure di sicurezza adottate dal Paese. Una ricostruzione che contraddice le affermazioni delle autorità russe, secondo le quali gli attentatori avrebbe provato in prima battuta a dirigersi verso l'Ucraina. "Nei minuti immediatamente successivi all'attacco "proprio come in Russia, siamo passati a un regime di sicurezza rafforzato. Ecco perché non hanno potuto entrare in Bielorussia e si sono allontanati verso la sezione del confine ucraino-russo", ha dichiarato Lukashenko.

Quanto ai mandanti, ha aggiunto il presidente bielorusso, "Abbiamo dei sospetti su alcuni, chiamerò Putin e glielo dirò".

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