"1984", l'opera di Maazel in scena alla Scala

Da oggi l'opera tratta dal capolavoro di George Orwell. "Lo spettacolo fa paura e fa piangere perché non c'é speranza - dice - è un avvertimento"

"1984", l'opera di Maazel in scena alla Scala

Milano - Doveva essere una storia d'amore, ma poi, per non tradire lo spirito originale del romanzo, "siamo finiti per metterne in rilievo il significato politico": così Lorin Maazel presenta la sua prima opera, "1984", tratta dal capolavoro di George Orwell, che da oggi dirigerà alla Scala di Milano. "Lo spettacolo fa paura e fa piangere perché non c'é speranza - dice il grande direttore d'orchestra - è un avvertimento di Orwell, che ci ha detto 'se non fate qualcosa, sara' davvero così un giornò, e noi - si rammarica - non abbiamo fatto nulla: ora la nostra è una libertà relativa e dobbiamo lottare affinché non venga ulteriormente ristretta".

"Lo Stato oggi può distruggere una persona fin nell'intimo, lo vediamo tutti i giorni e - afferma - non può andare avanti così: bisogna protestare ad alta voce e quest'opera inevitabilmente porta con sé un messaggio politico". Quale? "E' essenziale che ogni individuo sia libero, anche di cambiare idea". Di riferimenti precisi, però, non ce ne sono: "Nella Londra di Orwell andava così come va oggi in certi paesi, con una dittatura assoluta e il popolo in gabbia, ma non parliamo di nessuno in particolare".

Anche quando, nell'opera, i prigionieri del Ministero della Verità vengono costretti a vivere sotto una luce abbagliante, che non si spegne mai, come a Guantanamo, "da parte nostra - sottolinea ancora - non ci sono riferimenti, ma se poi il pubblico li capta...". Di differenze tra lo scenario orwelliano e il presente, però, il grande direttore ne vede almeno una, macroscopica: "al tempo non c'era ideologia, solo potere: Orwell diceva che il mondo si stava avviando verso la non necessità di giustificare qualsiasi azione, mentre ora i nostri capi pretendono di avere una base religiosa, morale, etica". Oggi come allora, però, "chi sta al potere sfrutta le tre debolezze dell'essere umano: la necessità di odiare, di inchinarsi al potere, di avere un patriottismo scatenato", cui il novello compositore ha dedicato altrettanti cori.

Quando ha scelto di mettere in scena il romanzo di Orwell, però, Maazel era più interessato alla storia d'amore tra Winston e Julia che alle profezie dello scrittore inglese, ma poi, "parlando con il regista Robert Lepage che - scherza - è molto à la page su ciò che succede nel mondo, mi sono reso conto che era tutto molto legato all'oggi". La messinscena del regista canadese è figlia di questa consapevolezza: per trasmettere al pubblico "disagio, inquietudine e angoscia", sul palco saranno proiettate immagini con scene di guerra dall'Afghanistan alla Palestina, mentre la stessa partitura prevede effetti sonori inconsueti per un'opera, come il rumore delle pale di un elicottero, quello di una mitragliatrice, ma anche grida di dolore frammiste a bombe che esplodono. Per far posto a due videoproiettori, 14 pc e a tutto l'apparato tecnologico necessario, l'equipe di Lepage si è impossessata del palco reale della Scala, dove solitamente siedono le istituzioni.

Sull'abbondante uso di tecnologia, Maazel spiega che è "necessario, perché è un soggetto attuale, mentre se fosse usata per un'opera arcaica sarei contrario".

Nonostante il soggetto, scritto nel 1948, e l'attualissima regia, l'opera avrà un'inquadratura classica "perché credo molto nell'opera e - dichiara il musicista - nella sua forma come veicolo contemporaneo". Anche per rilanciare un avvertimento rimasto inascoltato.

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