«Dopo 30 anni in cella dirò chi è il killer»

MANIACO La ragazza fu sequestrata a Genova e un’ora dopo uccisa La trovarono in spiaggia

Nella memoria di chi ha l'età per ricordare, quel grido dal carcere - «non ho ucciso io Milena Sutter» - riporta in modo stridente, in questo mondo ormai soltanto a colori, una storia scritta in bianco e nero. Una di quelle storiacce che ti lasciavano l'inchiostro del giornale sulle dita, ma soprattutto una sgradevole sensazione di sporco fin dentro l'anima. Una brutta storia con due soli volti. Quello angelico di una tredicenne genovese rapita, strangolata e poi gettata via, in mare, come fosse una «cosa». E quello bolso, da schiaffi, del giovane che di quel delitto è stato giudicato anche in Cassazione come l'unico responsabile.
Ed è da lì, dall'ergastolo, dalla sua cella di Porto Azzurro, che il fantasma di Lorenzo Bozano, ora 63enne, riporta d'attualità - con quel grido fatto rimbalzare sull'ultimo numero del settimanale Gente - una storia che sembrava vivaddio dimenticata. Con il suo corredo di date, fatti, nomi e perfino soprannomi. Come quel «biondino dalla spider rossa» che oggi come ieri Bozano respinge insieme con l'infamante accusa. «Ho subìto e accettato l'ergastolo, ma nessuno può impedirmi di gridare che sono innocente», manda a dire anticipando che chiederà la revisione del processo.
E aggiunge altro, il «biondino». Dice di aver scritto una lettera per il fratello di Milena. «Quando è successo, lui era solo un ragazzo e queste pagine le ho scritte per Aldo, ma non gliele ho mai spedite». Dice anche che ci sarebbe un nome, nella lettera, quello di un ragazzo - un altro - che aveva anche lui una spider rossa. «Lui era biondo, io non lo sono mai stato». E tira in ballo come possibile testimone anche un'amica di Milena che - dice lui - «non ha mai parlato e non è mai stata interrogata».
Riaffiorano così, appunto, nomi e soprannomi, fatti e date. A partire dal quel 6 maggio 1971 quando Milena, figlia dell'industriale della cera Arthur Sutter, ricchissimo imprenditore di origine svizzera, scompare a Genova all'uscita dalla sua scuola privata. Poi, per due settimane, soltanto le indagini, mille ipotesi e un angoscioso silenzio. Rotto quattrodici giorni dopo dall'urlo di dolore dei familiari e da quello di raccapriccio dell'Italia tutta. È un pescatore a ritrovare il corpo della ragazzina, ormai una povera «cosa» oltraggiata dall'acqua di mare e dai pesci, sulla spiaggia di Priaruggia. L'autopsia rivela che è stata uccisa appena un'ora dopo il suo rapimento.
Attorno alla vita, ha una cintura da sub. Indizio che, insieme ad alcuni inquietanti precedenti, conferma gli inquirenti nei loro sospetti verso Bozano, conosciuto in città come appassionato di immersioni. Uno però già noto alle forze dell'ordine soprattutto per avere insidiato un'amichetta quando era ancora minorenne, poi per possesso illegale di una pistola e quindi per il saccheggio a scopo di lucro, volume dopo volume, della preziosa biblioteca di famiglia. Insomma, un debosciato nullafacente della Genova bene, dedito al girovagare in spider almeno quanto alle più basse pulsioni, come quella di provarci con la sua stessa sorellastra. Accusa dalla quale si salva soltanto grazie al ritiro della denuncia da parte della madre, che lo difenderà sempre, fino all'ultimo.
Tassello dopo tassello, la polizia raccoglie una montagna di indizi: dai testimoni che confermano di averlo visto di fronte alla scuola di Milena, al suo improvviso taglio dei baffi; dalla confessione agli amici del cuore di essere disperato, alla vana richiesta agli stessi di sostenere un suo insostenibile alibi; dalle critiche smargiasse espresse nei confronti dei sequestratori dell'industriale ligure Lorenzo Gadolla (allora in corso), agli appunti compromettenti e alle cartine di Genova segnate.
Certo, una montagna di indizi. Manca però la prova, quella schiacciante, che sia stato lui a strangolare Milena. E così Bozano, carcerato modello in attesa di giudizio che riceve lettere da decine e decine di ammiratrici (una di loro, Eleonora, alla fine lo sposa), affronta il processo ostentando una sicurezza che si fa via via via aggressività. Dalla sua ha anche un principe del foro come il penalista Giuseppe Sotgiu, che con un'arringa difensiva da manuale - «non si può giudicare un uomo dalla sua simpatia» - in cui ne ricorda anche un crudele e ingiustificato internamento in collegio a soli sette anni d'età, lo fa assolvere.
Il Paese s'indigna. E Genova ancor di più. Ma nell'attesa dell'appello, dove sa bene di arrivare in un clima sfavorevole, Bozano infila una serie di clamorosi passi falsi. Prima tenta di ricusare il giudice nominato, poi revoca il mandato all'avvocato Sotgiu che lo aveva salvato. Infine, errore più grave di tutti - è il 1976 - abbandona casa e la neosposa, fuggendo in Francia. Nonostante gli sforzi del nuovo difensore, un altro principe del foro, il professor Grammatica, è condannato in contumacia all'ergastolo. Bastano otto ore di camera di consiglio.
Dopo tre anni alla macchia, incappa in un posto di blocco della polizia d'oltralpe. Parigi, però - è un vizio dei francesi - non concede l'estradizione all'Italia, ma lo espelle in Svizzera. Di lì alla cella di Porto Azzurro il passo è tuttavia breve. Nuovamente carcerato modello, lui gode di permessi premio.

E di nuovo, durante una di queste licenze, cede ai suoi istinti: lo beccano, in flagrante, a palpeggiare una ragazzina. Gli costa per sempre la concessione di qualsiasi beneficio. La sua ultima pulsione, il suo ultimo errore.

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