Abramovich saluta Ancelotti. E Lippi si candida

LondraPoco più di 100 partite per dirsi addio. Perché tra Abramovich e Ancelotti non è mai scoppiata quella travolgente passione che unisce ancora oggi il patron del Chelsea allo Special One. Un legame testimoniato dalla Ferrari 612 Scaglietti che l’oligarca russo regalò a Mourinho come risarcimento affettivo dopo averlo cacciato. Il congedo da Ancelotti si consumerà senza orpelli emotivi, il corrispettivo di un’annualità di stipendio. E poi ognuno per la propria strada. Che per Carletto significherà – con ogni probabilità - il rientro in Italia. La Roma lo attende, corteggia, lusinga. Anche se la tentazione Real, qualora avvenisse il divorzio da Mourinho, suonerebbe davvero irresistibile. Di sicuro non resterà a spasso. Nè prolungherà il suo soggiorno allo Stamford Bridge. Perché l’uscita anticipata dalla Champions League ha solo ratificato la conclusione di un rapporto professionale irrimediabilmente compromesso non appena ad Abramovich è tornata la voglia di comandare, oltreché di spendere. A suo modo, senza indugi né cautele, attraverso una serie di decisioni prese alle spalle, talvolta addirittura all'insaputa, del suo allenatore. Come il licenziamento di Wilkins, il principale collaboratore di Ancelotti, sostituito da un suo fedelissimo, Emenalo. Un perfetto signor nessuno, utile però per avere un occhio amico nello spogliatoio. L'inizio della fine. Il segnale che la fiducia ad Ancelotti - nonostante lo storico double della scorsa stagione - non era più incondizionata, tanto meno illimitata. Piuttosto, vigilata dall'alto, vincolata ai risultati.
E dire che la seconda annata inglese di Ancelotti era cominciata meglio della prima. Gol a grappoli, otto vittorie nelle prime dieci uscite di campionato, ottavi di Champions ipotecati dopo tre giornate. A novembre la svolta. L’improvvisa uscita di scena di Wilkins coincide con l’inizio di una profonda crisi. Il Chelsea, che in estate aveva acquistato il solo Ramires, perde pezzi e partite, senza soluzione di continuità. Cinque in due mesi da incubo, solo 10 punti sui 33 a disposizione. In ritardo in campionato, uscito malamente dalle coppe nazionali, ad Ancelotti non resta che la Champions per salvare la stagione. E la panchina. Per inseguire la sua ultima ossessione, Abramovich non bada a spese. Nelle ultime 48 ore di gennaio porta a Londra Torres e Luiz. Più di 80 milioni di euro per scongiurare la delusione dell'anno scorso quando era stata proprio l’Inter di Mou a spingerlo fuori dall’Europa.
Liquidato come da pronostico il Copenaghen, il Chelsea pesca il Manchester United. Ancelotti sonda gli umori della società, ma viene gelato dal direttore generale Gourlay, che rimanda a fine stagione ogni discorso sul suo futuro. Il cerchio si chiude. Scaricato dalla dirigenza, si affida ai giocatori. Una rosa che ha vinto tanto ma che oggi appare logora, scarica. Da Lampard a Terry, da Drogba ad Anelka, passando per Malouda e Ashley Cole. Un po' per convinzione un po' per convenienza, punta su Torres. Sull'uomo di Abramovich. Una scommessa sbagliata: in 693 minuti Torres non segna un solo gol. E' la condanna ad un esonero postdatato.

Si consumerà a metà maggio, quando si conoscerà il nome del suo successore. Con perfetto tempismo Lippi si è già autocandidato. Ma anche al ct campione del mondo Abramovich non concederebbe più che una limitatissima pazienza per soddisfare la sua ultima ossessione.

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