Addio ai vecchi magazzini ora nasce il negozio globale

Sono davvero lontani i tempi in cui Enzo Jannacci cantava di Gigi Lamera, che abitava dietro Baggio, lavorava alla catena di montaggio e portava (male annodata) la cravatta dell'Upim. Adesso il primo grande magazzino italiano con i prezzi unici (nato sulla falsariga di quelli americani nel 1928) si è svecchiato e ha cambiato totalmente immagine. Da negozio popolare per le classi medio-basse, a marchio molto amato dalla gente ma vecchiotto e poco frequentato - basti pensare che la Upim di corso Buenos Aires, nonostante transitassero quasi un milione e mezzo di persone l'anno, vendeva pochissimo come tutti gli altri negozi d'Italia, che nel 2009 perdevano 40 milioni di euro - a «mall» cittadino di tendenza in cui trovare tutto quello che davvero piace (e serve) ai milanesi. Siamo in corso Buenos Aires, la via dello shopping più popolare di Milano, dove la vecchia Upim è stata trasformata (immagine e logo compresi) nel nuovo Upim Pop (ieri era, l'inaugurazione con grande festa on the road). Con un chiaro richiamo alla cultura americana nata con Andy Warhol - in mostra, fino a lunedì, ci sono pure alcune opere originali dell'artista -, ma anche il significato è chiaro: pop vuol dire popolare, come le cose in vendita qui, i prodotti più richiesti sul mercato, con gli stessi prezzi delle bancarelle del quartiere. Prodotti low cost come abiti, giocattoli, fiori, e cosmetici, a tutte quelle cose ormai impossibili da trovare in centro, come utensili per il bricolage, ago, filo e bottoni. Ma ci sono anche il reparto tecnologico (e non low cost), la libreria e il bar: «Una piccola piazza cittadina, in cui si vende ciò che serve, cose che noi riportiamo nel centro della città, ma anche un punto di ritrovo» spiega Stefano Beraldo, ad del gruppo Coin che da pochi mesi ha acquisito Upim. Altro quartiere, altro cambio immagine per un'altra Upim storica: quella di piazzale Corvetto, che riapre oggi anche questa come Upim Pop. «Vogliamo riportare a Milano quello che i milanesi fino a ieri trovavano solo fuori città», prosegue Beraldo. E mentre a Milano alcune Upim storiche, come quella di corso Venezia, sono scomparsi da anni, altre (cinque in tutto) resistono nel format originario (presto rinnovato), e altre ancora, come quella di via Torino, sono da poco stati sostituiti da nuovi concept store come Ovs, anche questo un brand da poco rilanciato (sempre dal gruppo Coin). Anche questo, un marchio che da insegna di periferia «voglio ma non posso» sta diventando un nuovo punto di riferimento per le famiglie giovani che vestono mixando capi «no logo» e accessori griffati. Proprio come fanno già con i capi delle spagnole Zara e Mango, e della svedese H&M, catene low cost che hanno già colonizzato via Torino e corso Vittorio Emanuele. Qui apriranno presto anche l’inglese «Top shop» e le americane «Gap» e «Banana Republic». (Per Gap anche un temporary shop in corso Como). Complice la crisi, per tutti i milanesi è diventato ormai normale acquistare qui. Ovs è la risposta italiana ai low cost stranieri. Qui le collezioni non sono copiate dalle griffe famose, ma disegnate ex novo.

La linea più amata è Baby Angel di Elio Fiorucci (consulente anche della nuova immagine Upim Pop), la più attesa è Eequal, nuovo marchio low cost di Ennio Capasa, lo stilista di Costume National, che debutterà a inizio 2011. Ma intanto il neonato negozio di via Torino è già frequentato (anche) dalla Milano bene, complice la nuova campagna pubblicitaria che vede fra i testimonial anche Ginevra Elkann.

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