Addio dell'Italia comune al buon padrone Ferrero

Al funerale dell'imprenditore ci sono i grandi dell'economia e della politica, ma soprattutto una folla di gente semplice

Addio dell'Italia comune 
al buon padrone Ferrero

Il cardinale Bertone, il premier Berlusconi, la regina del Belgio, ministri, sottosegretari, cento sindaci, ma soprattutto trentamila italiani qualunque. Il funerale di Pietro Ferrero, erede di una dinastia operosa e anche molto fantasiosa, rompe improvvisamente il conformismo laccato del bel mondo che conosciamo. Non è Montecarlo e non si respira nemmeno il trendy spinto dei nostri centri metropolitani: è semplicemente Alba, provincia italiana, luogo compassato e decoroso che ancora sa vivere di un lutto sacrale.
Per l’Italia che vive di copertine e di salotti intelligenti, per l’Italia che vive di presenzialismo e vetrine pubbliche, per l’Italia che considera esistente soltanto chi sfila in tv, Pietro Ferrero sarebbe - era - uno sconosciuto. E pure questa mania della bicicletta: con i soldi che aveva, poteva permettersi yacht e party a tutte le ore, invece preferiva la fatica sudaticcia della pedalata fuoriporta, rincorrendo una sua etica e una sua estetica della libertà personale, valli a capire questi rampolli di nuova generazione...
Schematizzando l’antropologia nazionale, Pietro Ferrero stava agli antipodi del Lapismo. Questo porterebbe tanta gente a concludere che fosse fuori dai giochi. Invece, onore suo, era soltanto fuori dagli schemi. Almeno, di certi schemi contemporanei, patinati di mondanità, di pubbliche relazioni, di immagine e perché no pure di molto fumo.
Improvvisamente, il funerale di Alba e i suoi trentamila. Pietro Ferrero si ritrova in preghiera l’Italia famosa di politici e cardinali, ma anche l’Italia defilata della sua terra, tutta gente che direttamente o per via familiare qualcosa ha dato e qualcosa ha ricevuto nella lunghissima saga del pianeta Nutella. «Sono qui perché non potevo farne a meno», dice ai microfoni un pensionato dell’azienda. «Sono qui perché lui era il mio padrone», dice candidamente, senza suscitare alcun imbarazzo con quell’espressione antica, una giovane donna delle maestranze. Ad Alba si può ancora piangere il padrone, perché qui e in questo caso il termine non evoca conflitti di classe e condanne sociali, ma solo lavoro, benessere, famiglia.
Per l’Italia d’oggi è la scoperta dell’altra Italia. Ma tu guarda, sapevi che il patriarca Michele Ferrero è l’uomo più ricco del Paese? Qualcuno pensava che l’Italia trainante e produttiva fosse solo quella dei Montezemolo, delle Marcegaglia e dei nuovi banchieri, cioè di quei volti noti così esposti alle telecamere e ai titoli di apertura. Ma esiste anche dell’altro, altrove. Ci sono ancora famiglie e imprenditori che tirano sera negli uffici con vista sui capannoni, tranquillamente insensibili al richiamo della bagarre. È un altro modo di stare nella vita del Paese: fare per tutti facendo per sé. Sì, è un’Italia che conta per quello che fa, non per quello che dice. Vengono in mente i Del Vecchio, gli Squinzi, gli Scavolini, i Polegato, i Pesenti, i Barilla, ciascuno con un proprio modo di agire e di lavorare, ciascuno con le proprie intuizioni e le proprie cadute, ma tutti accomunati dalla religione del lavoro e tutti allergici agli effetti speciali.
Dalla piazza di Alba, con il muto corteo dei trentamila, riemerge la storia di un capitalismo vitale e dignitoso, come sarebbe piaciuto al Thomas Mann dei «Buddenbrook», ma in fondo anche a Tremonti, perché espressione di valori fondamentali, non quotati in Borsa, lontanissimi dalla Borsa, eppure intramontabili. Il decoro di questa saga sta negli abiti neri e nel pianto composto dell’anziano papà, dell’adorata mamma Maria, del fratello Giovanni, della giovane sposa Luisa, perché anche un funerale di famiglia dice molto della famiglia. Lì attorno però si respira altrettanto decoro nella gente anonima di Alba, che ancora conosce la gratitudine, il ricordo, la malinconia, sinceri omaggi a quel defunto così giovane e ancora così vicino.
Ultimamente abbiamo un po’ rinchiuso la gloriosa provincia italiana nella volgarità delle sue villette a schiera, con palmeti, leoni e nanetti di gesso, nel noir dei suoi delitti di vuoto e di noia, tuttalpiù nella commedia grottesca di certi rituali goderecci.

Ma da Alba e dal suo doloroso funerale, da Pietro Ferrero e dalla misura della sua famiglia, riemerge finalmente il quadro ricomposto di una provincia amabile e rispettabile, seria e valorosa, sana e indistruttibile. Da domani, aprendo il barattolone, tutti sapranno che dentro la Nutella c’è un mondo di vera dolcezza.

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