Cultura e Spettacoli

Addio ispettore Derrick, ti guardavo con Montanelli

Mario Cervi ricorda l’appuntamento quotidiano che condivideva col grande Indro: "Era uno per bene, ci piaceva la sua normalità"

Addio ispettore Derrick, ti guardavo con Montanelli

Per Montanelli e per me era un appuntamento quotidiano. A las seis de la tarde - mi pare fossero proprio le sei - Indro accendeva la televisione del suo ufficio e si accomodava su una poltrona, io prendevo posto su un’altra poltrona accanto alla sua, e insieme seguivamo con incomprensibile ma autentico interesse l’ennesima inchiesta dell’ispettore Derrick. Capitava che, mentre eravamo così impegnati, qualche redattore si affacciasse per chiedere un chiarimento. Montanelli non si sottraeva all’interruzione, troppo forte era in lui il senso dei suoi doveri direttoriali. Ma sbrigava velocemente la faccenda, e poi pretendeva che io lo aggiornassi sugli sviluppi che la trama tedesca aveva nel frattempo avuto. Cercavo d’accontentarlo, non sempre riuscendoci perché i misteri dell’ispettore erano a volte banali e a volte ingarbugliati. Ma senza dubbio televisivamente azzeccati. Il fatto che Derrick ci piacesse tanto è in se stesso un non irrilevante mistero. Quello spilungone cortese e corretto non aveva nulla di molto affascinante. La mia competenza per quanto riguarda la recitazione è minima. Ma lo stile di Horst Tappert lo definirei, ripensandoci, teutonico. Sì, Derrick aveva un cuore, e disponeva inoltre, per le basse incombenze d’indagine, d’un collaboratore, il suo Watson. Né come ispettore né come attore Derrick riserbava sorprese. Ignoravamo tutto della sua vita privata, non sapevamo quanto il volto malinconico adattabile a due o tre diverse espressioni mai sopra le righe, si addicesse all’umanità vera di Horst Tappert. In fin dei conti Tappert non ci interessava.

Ci interessava Derrick. Lo consideravamo un amico nonostante il vezzo d’un discutibile parrucchino. Ci sembrava una persona per bene, e le sue storie - ingenue e scontate quanto si vuole - avevano un loro grezzo sottofondo edificante. La legge trionfava, come nei migliori western. Ma trionfava (in versione Germania d’oggi) senza scazzottature, e senza troppi morti ammazzati, salvo quello o quel paio d’obbligo per un «giallo» degno di questo nome.

L’ispettore Derrick era l’opposto del tenente Colombo, a dimostrazione di come le vie del trionfo popolare siano molteplici e imprevedibili. Colombo era l’esaltazione d’un eccellente attore e di trame costruite con ingegnosità sopraffina. Derrick era l’esaltazione d’un attore non dico mediocre ma senz’altro medio, e di ingranaggi polizieschi piuttosto schematici. Derrick era il funzionario onesto e capace che non si finge umile e sprovveduto - il vezzo di Colombo - ma che non pretende nemmeno come Sherlock Holmes di essere un genio. Di Derrick, a Montanelli e a me piaceva soprattutto la normalità. Le favolette dei suoi telefilm riconciliavano un po’ con la vita e con i buoni sentimenti. Indro - che non era né un sentimentale né un rètore, e che era un fuoriclasse - amava forse in Derrick proprio il fatto che non fosse un fuoriclasse.

«C’è una cosa bellissima in Derrick - mi disse un giorno -: non ricordo nemmeno una delle sue vicende. Visto e dimenticato.

Suppongo che qualcuna l’avrò vista due o tre volte, ma non me ne sono neanche accorto».

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