Nessun dubbio, «morirò sul palco o in galera», aveva annunciato una ventina danni addietro, durante una buffa conferenza stampa parigina svoltasi per telefono, perché la polizia georgiana gli aveva vietato lespatrio. Ma come profeta non era granché, povero James Brown. Infatti è morto in un letto dospedale, ad Atlanta, per una banale polmonite: dunque agli antipodi di quella vita spericolata che mr Dynamite aveva splendidamente incarnato nei settantatré anni della sua esistenza. A partire da uninfanzia parimenti dedicata al gospel e al borseggio: ché, figlio di famiglia nera, sgangherata e poco abbiente, il piccolo James Joseph passava la domenica a cantare in chiesa, e i giorni feriali a impratichirsi nella boxe ma soprattutto nellarte ostica del furto con destrezza. Con molto zelo, bisogna ammetterlo, e risultati in crescendo: come prova la condanna riportata, appena adolescente, non per un furto di caramelle ma per rapina a mano armata.
Uscito dal carcere a ventanni, James viene accolto dalla famiglia di Bobby Byrd, un coetaneo che ha un gruppo di gospel. Brown converte Byrd al rhythmnblues ed ecco nascere i Famous Flames, mentre già sannuncia lavvento del rocknroll con i suoi ritmi frenetici. Più che Elvis o Bill Haley, tuttavia, il gemello artistico di James sarà Little Richard, col suo stile assatanato e i suoi ululati selvaggi: ed è con lui che i Flames si esibiscono come supporter, in un concerto che li fa conoscere. Nel 56 ecco il primo successo: Please please please è unimplorazione damore che lautore tramuta, sul palco, in clownesca sceneggiata, simulando il deliquio, facendosi portar via a braccia e poi riapparendo più scatenato che mai, per concludere la canzone in un delirio di sensualità. Due anni appresso Try me scala le classifiche, e intanto lo stile di Brown coopta nuove sonorità, lurlo belluino salterna alla morbida ballata, il rhythmnblues diventa soul e da tutto ciò scaturisce, nel 63, lesplosivo Live at Apollo, registrato nel mitico teatro di Harlem: «Il più straordinario successo di tutta la black music, il disco che mi ha fatto, il disco che ha fatto il soul», dirà poi lautore. E non a torto: chi, come il vostro cronista, ha avuto la fortuna dascoltarlo proprio allApollo, in unemozionante serata dell87, sa come quella sala riuscisse a mobilitare il meglio degli estri di James Brown, attizzando fino allincandescenza la sua già ineguagliabile grandezza.
Nel 65 Out of sight dilata ulteriormente gli orizzonti di Brown: sinsinuano, nel suo fraseggio tutto a scatti, e nellardore fremente del suo stile, allusioni al jazz e poliritmi africani, poi via via il funk, con la sua carnalità esplicita, il basso perentorio e il bollore dei fiati, simpossessa della musica e vi si consolida attorno, come il raggrumarsi duna colata lavica. James Brown diventa, nellimmaginario collettivo, soul brother n.1, the grandmaster of soul, mr Dynamite e altre cose. Ma soprattutto diventa simbolo duna negritudine non doma, al bivio tra lirruenza anarchica di Malcolm X, assassinato nel 65, e lidealismo ispirato di Luther King, ammazzato tre anni dopo. Agli occhi dei neri ma anche dei bianchi, figure come quella di Brown impersonano la voglia di riscatto e la speranza, lorgoglio etnico - «Sono nero e me ne vanto», canta James - e la richiesta di pari opportunità duna razza calpestata, che tuttavia non rinuncia alla sua quota di sogno americano. Nellevoluzione duna musica, la sua, salpata dal gospel e approdata ai primi embrioni di hip hop, Brown vede lo specchio di unevoluzione sociale che la sua gente va conquistando: «Guardate come è cambiato - dice - il modo di definire noi neri: da nigger a colored a negro a black, e parallelamente crescevano dignità e rispetto». Intanto afferma dessere stato, in una vita precedente, Mosè, liberatore degli ebrei. Un Mosè dai capelli cotonati, la marsina lucente di lustrini, le movenze da invasato delleros e la fedina penale non proprio immacolata: ma alla morte di Luther King, è a lui che la Casa Bianca ricorre perché persuada alla pace il popolo nero, deciso ad una rivolta che la polizia non saprebbe fermare. Lappello di Brown funziona e gli frutta un invito a pranzo e un ringraziamento scritto di Lyndon Johnson.
Due anni dopo, nel 70, Sex machine porta alle stelle la popolarità del grande artista, che negli anni ha saputo influenzare artisti come Miles Davis, Hendrix, Jagger, Prince e i grandi del rock-jazz, del funk, del post-punk e del rap. E che conosce tuttavia unassurda eclisse, provocata, tramontando gli anni Settanta, dallarrivo della disco-music. Pare impossibile, ma nell80 James Brown, uno dei massimi geni della musica nera, vive lonta di restare senza contratto. Finché, a restituirlo allonor del mondo, provvede lavvento del rap, che lo riconosce come precursore: Afrika Bambaataa porta Unite in vetta allhit parade, e nell86 lo stesso Brown coglie, con Living in America, il suo ultimo successo.
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