Napoli -Una storia di nobili, immobili, mobili, soprammobili ed eredità contese. Giocata sulla pelle di una struttura che, da decenni, è il punto di riferimento per i non vedenti del centro e sud Italia, l’istituto «Paolo Colosimo» per non vedenti. È la storia dell’eredità di Giovanni Paolo Quintieri, barone romano di origini calabresi, che prima di morire, nell’agosto dell’ormai lontano 1970, decise che le sue fortune potevano andare a quanti con la fortuna erano in credito. E così lasciò al «Colosimo», che oggi assiste e forma una cinquantina di non vedenti e ipovedenti, la villa di famiglia di Carolei, in provincia di Cosenza, il palazzo di Roma, in via Panama, e le tenute agricole di Passerano (con annesso castello, a Gallicano del Lazio) e di Montecoriolano, a Potenza Picena, nelle Marche. Devolvendo in beneficenza anche qualcosa come 4-500 beni mobili.
L’elenco varia dalle semplici bilance a un Rembrandt, dai divani agli armadi d’epoca, dalle collezioni d’armi ai lampadari in cristallo, dai tappeti ai vasi cinesi. Il problema è che le ultime volontà del barone non si sono mai realizzate, o almeno non del tutto. E così l’asta che lui aveva ordinato di bandire per liquidare i beni mobili e versare il denaro ottenuto nelle casse dell’istituto Colosimo non è mai stata fatta. L’istituto Colosimo è divenuto regionale. E la «collezione Quintieri» è finita sparsa tra i caveau e le sedi della Regione Campania. Con l’effetto, piuttosto prevedibile, che gli eredi insoddisfatti del mancato rispetto dell’intento del nobile avo sono ora in causa con la Regione «gravemente inadempiente» e chiedono la revoca della donazione.
L’elenco dei beni è davvero vario. Censito per la prima volta dall’ex presidente Rastrelli, e allegato ogni anno al bollettino ufficiale della Campania, indica anche i valori stimati dei singoli oggetti, per un totale superiore ai 3,2 milioni di euro. Il pezzo più pregiato della lista è una Madonna con bambino di Domenico Puligo, pittore fiorentino del Rinascimento, valutata con inquietante precisione contabile esattamente 232.405,60 euro. Ma il consigliere regionale dell’Mpa Salvatore Ronghi in un’interrogazione a Bassolino dell’ottobre 2007 chiedeva conto della mancanza nell’elenco di alcuni pezzi originariamente censiti. Tra questi il gioiello, un autoritratto attribuito a Rembrandt. Attribuzione incerta, ubicazione pure. Finché non salta fuori nascosto in un caveau della Regione. Giallo risolto. Almeno uno. Quello che non si risolve è la destinazione di questi beni, che come detto non vengono messi all’asta. La spiegazione da parte dell’amministrazione sarebbe che, essendo l’istituto Colosimo (e dunque anche il contenuto dell’eredità) passato sotto il controllo della Regione, ora è quest’ultima a provvedere ai fabbisogni finanziari della struttura, rendendo nuovamente «patrimonio disponibile» quei mobili e immobili ormai divenuti di proprietà regionale. Tanto che, di quegli oggetti, molti sono finiti assegnati a varie sedi della Regione e non solo. E seguendoli a ritroso, sorge qualche dubbio sulla gestione di questo patrimonio da parte dell’amministrazione ora guidata da Bassolino.
Un caso? Eccolo. C’è una Onlus internazionale, la Fondazione Mediterraneo, che ha sede in un bel palazzo affacciato sul Maschio Angioino. Si occupa di rapporti internazionali con il mondo arabo, e ha ottenuto quella sede in comodato d’uso gratuito dalla Regione (per un piano) e dal Demanio (per due piani). Nella sua sede fanno bella mostra di sé lampadari, divani, cassapanche e mobili. Provenienti dalla fondazione Quintieri. Come ci siano finiti lo spiega il presidente della fondazione, Michele Capasso. «Ce li ha concessi in comodato Bassolino, e così ora abbiamo una quarantina di pezzi, che restano ovviamente di proprietà della Regione.
«Ed ecco come erano quando siamo andati a prenderceli nella villa in Calabria», spiega, aprendo un album fotografico. Dentro, le immagini di mobili marci, incompleti, mangiati dalle tarme. La Regione, dopo aver «ereditato l’eredità», li aveva abbandonati. Capasso li mostra ora, impeccabili dopo il restauro, «che ci siamo pagati noi, per un costo riportato in bilancio di 350mila euro». Almeno sono stati salvati dalla rovina. Ma perché la Regione li aveva lasciati morire invece di metterli all’asta appena ricevuta la donazione? Mistero non risolto. O forse spiegato dalla proverbiale lentezza della burocrazia del «proprietario», che quando indossa le vesti di un’istituzione pubblica difficilmente mette in mostra la meticolosità e la passione del collezionista d’arte. Eppure, per quanto in piena attività e, come spiega uno dei suoi convittori, in salute passabile, una visita all’ingresso dell’istituto Colosimo lascia pensare che qualche risorsa in più, lì, farebbe comodo.
Non foss’altro per rispettare lo spirito del nobile gesto di Quintieri, il valore reale di quei beni andrebbe messo a disposizione dei ragazzi non vedenti della struttura partenopea. E la storia, almeno, avrebbe un lieto fine.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.