Le agenzie di rating hanno troppo potere Più degli Stati

Chi sta dietro l’agenzia di rating Moody's, che - con tanta leggerezza - dichiara sotto osservazione lo Stato e addirittura le maggiori banche italiane? Chi sono gli azionisti di questi sapientoni arbitri che, da qualche anno, «giocano» anche contro l’Italia, dove le banche hanno retto alla crisi finanziaria, senza flebo salvavita? Mentre altre banche di grandi paesi fallivano, senza che le agenzie di rating se ne accorgessero: una miopia che resterà nella storia della finanza mondiale. Non sarà che in Moody’s e consorelle, gli arbitri siano anche giocatori e contemporaneamente i giocatori facciano gli arbitri?
Reggiolo (Reggio Emilia)

Così pare, caro Sironi, perché questo risulta agli atti: il grosso del pacchetto azionario di Moody’s è per il 17,5 per cento nelle mani dalla Berkshire Hataway, la holding finanziaria presieduta da Warren Buffet che tanto per andare sul sicuro della Moody’s detiene, a titolo personale, il 16,2 per cento delle azioni. La Fitch è stata acquistata nel 1997 dalla finanziaria francese Fimalac. Che oggi ne controlla il 60 per cento avendo venduto il restante 40 alla Hearst Corporation (15 quotidiani, un centinaio di periodici, 29 reti televisive, importanti partecipazioni nei settori automobilistico, elettronico, medico-farmaceutico. E finanziario). Standard & Poors’s, infine, appartiene alla McGraw-Hill, gigante americano di servizi finanziari. Eppure, non ostante siano nel portafoglio di gruppi che maneggiano il danaro muovendo capitali e monete di tutto il mondo, le tre agenzie di rating si sono guadagnate, oltre quello dell’autorevolezza, il blasone della terzietà, della autonomia, della cristallina oggettività e, non ultima, della inattaccabile fedeltà delle analisi. Che invece operino in un mare di conflitti di interessi sono in molti a sostenerlo e anche pubblicamente. Che i rating commissionati (e pagati salatissimamente) possano essere usati dai clienti - una banca d’investimenti, ad esempio - per attività speculative, lo sanno anche i sassi. E che lascino assai a desiderare in quanto a competenza nel vivisezionare i dati economici - non hanno nemmeno lontanamente intravisto le avvisaglie della recente crisi finanziaria globale; non un sospetto sulla maxi truffa da 60 miliardi di Madoff; miopia se non cecità nel leggere i bilanci della Grecia - è un dato di fatto incontrovertibile. Eppure, nessuno muove un dito per sottrarsi alla loro tirannia. In grado di influire pesantemente sul mercato azionario - il declassamento da una tripla A in una A2 lo manda a gambe all’aria. Per chi ha informazioni privilegiate e dunque l’opportunità di conoscere in anticipo le mosse delle agenzie di rating, una vera cuccagna - e di dichiarare, questo è davvero il colmo, la bancarotta di uno Stato sovrano, Moody's, Standard & Poor e Fitch rappresentano il vertice del vertice dei poteri forti mondiali. Così forti da risultare intoccabili anche da chi, Stato o privato che sia, ne cade vittima. Giorni fa ho letto queste considerazioni di Rino Formica, che ha da sempre la bella abitudine di dire le cose fuori di denti: «La funzione classica ricoperta dalla P2 è ora passata nelle mani delle grandi organizzazioni private e pubbliche della finanza mondiale.

La sinistra stia attenta: Berlusconi non cadrà per mano di Bisignani. Cadrà quando le società di rating avranno deciso. (...) Non ci facciamo distogliere dalle P4. Il destino dell’Italia si sta giocando nei saloni della finanza mondiale». Ci mediti su, caro Sironi.
Paolo Granzotto

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