Ai mie colleghi psichiatri dico: sulla strage di Erba un po’ di silenzio

Di fronte all’ennesima orribile strage perpetrata, stavolta, dai vicini di casa che rischiano di diventare proverbiali come Erika di Novi Ligure e la madre di Cogne, io, psichiatra, sono esterrefatto e incredulo esattamente come i miei concittadini analfabeti: e, da psichiatra, vorrei pregare i miei colleghi di tacere almeno per una volta; di evitare spiegazioni dotte che non spiegano niente, come pure di esprimere dubbi esistenziali che non si capisce bene se siano vezzi narcisisti della serie: «Ok, io so proprio tutto ma sappi che persino a me può sfuggire qualcosa», o dichiarazioni intese a rassicurare i lettori sul fatto che anche gli psichiatri sono uomini capaci di inorridire.

In ogni caso, basta con le disquisizioni scientifiche sull’odio e sull’invidia che non sono sofisticati sintomi psichiatrici, ma rozzi e potentissimi sentimenti umani: basta con le teorie etnografiche e transculturali sullo spazio vitale, qualunque deficiente capisce che se per due persone c’è un solo posto a sedere, uno dei due deve restare in piedi e che a forza di mettere insieme gocce d’acqua si formano piogge torrenziali. Un po’ di silenzio, per favore: la psichiatria faccia un passo indietro, anzi ne faccia due. Adesso la parola è alla giustizia degli uomini o a quel poco che ne rimane.

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