All’Aquila la protesta con le carriole di sinistra

nostro inviato a L’Aquila

Gracchia il megafono dal banchetto di piazza Duomo. Gracchia e, invitando all’adunata, assicura: «Le macerie non sono di destra e di sinistra, ma sono nostre, e noi aquilani oggi vogliamo mandare un messaggio alle autorità locali e al governo: la ricostruzione si deve fare con noi».
Poi rigracchia e offre una precisazione non richiesta: «Qui non si sta facendo campagna elettorale, non fatevi strumentalizzare. Mandiamo insieme il nostro segnale. Perché capiscano, una volte per tutte, che non possono continuare a prenderci in giro». In effetti i segnali non mancano, nel gran «giorno della carriolata», la nuova protesta dalle premesse folcloristiche, che il popolo degli sfollati (anche se di sfollati, nel senso di senza tetto, fortunatamente non ce ne sono più da tempo), ha indetto nel cuore dell’Aquila e sostenuto di prima mattina con il tam tam di un sms in dialetto («sveglia, rizzete e vè a lavorà con noi pè sgombrà L’Aquila dalle macerie»).
C’è, per esempio, il segnale, inequivocabile, di una manifestazione non strumentalizzata che arriva dalla presenza di compagni e compagne di Socialismo Rivoluzionario, che distribuiscono il loro volantino e dispensano a microfoni e telecamere ossequienti la loro parte di verità di cui forniamo solo un piccolo scampolo: «...Siamo indignati per tutto ciò che la nostra gente ed il nostro territorio hanno dovuto subire negli ultimi undici mesi. Siamo indignati perché chi si è arrogato il diritto di occuparsi della nostra incolumità ci ha tranquillizzato mentendo sapendo di mentire. Perché molti di noi sono stati costretti a vivere in un territorio militarizzato e tanti altri sono stati deportati...». Intanto, a proposito di volantini vengono anche distribuite le istruzioni per la raccolta delle macerie per la ricostruzione, redatte con l’ausilio di tre architetti che non sono proprio d’accordo su certe scelte. Peccato che un quarto architetto, non certo di fede berlusconiana, come Pierluigi Nicolin, dopo un sopralluogo all’Aquila sostenga, come riferiamo qui accanto, che le case costruite per ospitare i terremotati siano opere d’eccellenza.
Intanto su per corso Federico II arrivano alla spicciolata gli «smaltitori per una domenica». Sono, per la maggior parte, ragazzi e ragazze che indossano il caschetto giallo d’ordinanza, spingono la loro carriola (alla fine ne conteremo 32) e portano il loro bravo secchio. Dietro di loro, mentre si avvicina l’ora dell’aperitivo, come tradizione aquilana impone dalle arcinote sorelle Nunzia, si aggregano coppie, famigliole con piccoli al seguito. Sembra davvero una festa di piazza da vivere in allegria e completare magari col panino alla porchetta. Ma ecco che, proprio nello strategico «check point» transennato, oltre il quale si sale alla piazza della grande adunata, ecco che si materializza un altro, inequivocabile segnale di non strumentalizzazione. Con il loro sbarazzino cappellino di carta, sapete la barchetta fatta coi giornali tipica del muratore di una volta? Ecco che un paio di ragazzi si mettono a vendere L’Espresso e la Repubblica. Già, proprio come si faceva una volta con i giornaletti dei collettivi rivoluzionari e dei centri sociali.
Ma tant’è, forse è meglio far finta di non vedere troppi segnali e tirar dritto. Anche perché, nel frattempo, la tensione sale pericolosamente e la protesta degli scarriolanti rischia di degenerare perché qualcuno, anzi troppi, non vogliono stare ai patti. E i patti, secondo l’ordinanza dallo stesso sindaco piddino, Massimo Cialente, presente alla manifestazione, sono che nella zona rossa possono entrare, dopo essere stati identificati, solo tre gruppi di quindici persone.
Senonché, arrivati davanti al cruciale bivio dei quattro cantoni (lo stesso della protesta delle mille chiavi), che delimita la famosa zona off limit, anche il popolo dell’aperitivo e della «vasca» domenicale, con passeggino e palloncino al seguito, vuole entrare. E, al grido di «Aprite, aprite!» e di «Vergogna, vergogna!» spinge per forzare il blocco. Esercito e polizia oppongono una minima resistenza, poi arriva al semaforo verde per tutti (tre, forse quattromila persone) fino alle macerie accatastate in piazza Palazzo, sotto la statua di Sallustio, tanto cara agli aquilani.
Lì si spalerà e da lì partirà la catena di secchi, che, passati di mano in mano, consentirà di versare i detriti in alcuni cassonetti per la raccolta differenziata, sistemati ad hoc, in piazza Duomo.
Applausi ad ogni carriola che transita e discorsetti non strumentali dei vari leader della protesta. Mattia Lolli (figlio del parlamentare piddino Gianni di cui abbiamo già avuto modo di parlare) leader del movimento 3e32 e il prof Eugenio Carlomagno: «Vogliamo dire a Berlusconi che così come è stato ben realizzato il Progetto Case non va bene, vogliamo uno sforzo ulteriore per il centro storico dell’Aquila». Mentre un’altra attivista fra le più attive, Giusi Pitari, promette nuove incursioni: «Il centro dell’Aquila è il nostro punto di partenza ma nelle prossime domeniche andremo a far visita ai paesi distrutti della provincia, come Villa Sant’Angelo».
Dice la sua anche il sindaco Cialente: «La stima è di 4 milioni e mezzo di tonnellate di macerie da rimuovere dopo il terremoto del 6 aprile e il problema maggiore è rappresentato da una normativa che considera queste macerie come rifiuti normali, dunque non smaltibili in altro modo. Bisogna modificare questa norma perché solo così si potranno avviare i lavori e cominciare a ripulire l’Aquila».

È l’ora di pranzo e sembra tutto finito quando arriva il supplemento ad effetto: un gruppo di manifestanti si stacca e si dirige a passi svelti al Palazzo dell’Emiciclo, sede del Consiglio regionale dell’Abruzzo. Qualche carriolata di macerie viene versata proprio davanti all’ingresso e cinque cassonetti colmi vengono parcheggiati sul carraio. In evidente divieto di sosta. Sotto lo sguardo sconsolato delle forze dell’ordine.

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